Omelia (29-03-2015) |
don Alberto Brignoli |
Ne è valsa la pena! Come ogni anno, anche quest'anno il Tempo di Quaresima è stato un tempo di grazia, non solo perché abbiamo potuto riscoprire maggiormente i valori dello spirito attraverso opere di penitenza e di ascesi, ma anche e soprattutto perché siamo stati aiutati a riscoprire la presenza di Dio nella nostra vita, che durante gli altri periodi dell'anno rischia di rimanere nascosta nell'ordinarietà delle cose. Ogni anno, l'esordio di questo tempo è legato al tema della tentazione: nelle letture proposte per il ciclo dell'anno B mi pare di poter dire che questo tema ci ha accompagnato nella prima e anche nella seconda domenica. La tentazione di fare a meno di Dio, di vivere la nostra vita a prescindere da lui, è presente sia nel Gesù del deserto (che Marco ci ha presentato come il nuovo Adamo nel giardino nell'Eden, totalmente dipendente da Dio ma anche soggetto alla tentazione di staccarsi da lui), che nell'Abramo del monte Moria, tentato non più dal male, ma da Dio in persona, che lo sfida a colpi di fedeltà chiedendogli il sacrificio del suo unico figlio. Certo, un Dio così non è affatto facile né da comprendere né tantomeno da accettare. Il cammino che la Liturgia della Parola ci ha fatto percorrere in questa Quaresima mi pare che abbia voluto condurci principalmente a questo: alla comprensione del volto di Dio, alla scoperta - o forse riscoperta - della sua vera identità e di ciò che essa rappresenta per la nostra salvezza personale e collettiva. L'immagine di Dio che solitamente - e anche giustamente, per certi aspetti - ci portiamo dentro, è quella dell'Essere assoluto e onnipotente, immortale, forte, giudice degli uomini e della storia, creatore, regolatore e signore della vita e della morte: un Dio che regna nel cielo rimanendo irraggiungibile e che qui, sulla terra, si occupa di mettere a posto le cose come devono essere, soprattutto mettendo al proprio posto l'uomo. Ma questo cammino di Quaresima ci ha mostrato un altro volto di Dio: un Dio che non giudica e che non condanna, e che invece si preoccupa solamente della salvezza degli uomini; un Dio che prima ancora di regnare sull'universo pensa ad amare l'uomo, e lo ama al punto di farsi come lui, di abbassarsi al suo livello; un Dio che si abbassa così tanto al livello dell'uomo da assumerne su di sé anche l'elemento più drammatico, la sofferenza e la morte, per farne motivo di salvezza, per farne opportunità di vita. È quanto ci ha trasmesso il Vangelo del chicco di frumento di settimana scorsa: come dietro la dura scorza del seme si nasconde un germoglio di vita nuova, così la durezza del dolore e della morte vengono trasformate dal nostro Dio in speranza di vita. E tutto questo, nel mistero della Croce che - ci ricordava Paolo nella terza settimana di Quaresima - umanamente parlando non vale proprio la pena di prendere in considerazione, anzi, è uno scandalo e una stoltezza: scandalo per chi ha un'immagine di Dio giudice e retribuitore, e si trova poi a fare i conti con un Dio misericordioso e compassionevole; stoltezza per chi attribuisce a Dio un'immagine di assoluta imperturbabilità e immortalità e se lo vede appeso ad un patibolo, con la pretesa poi di voler risuscitare da morte. Questo mistero della Croce, a cui è appeso un Dio scandaloso e folle, che all'uomo qualunque non ispirerebbe la minima fiducia, per chi - nonostante questo - si fida di lui con la medesima fiducia di Abramo (e di Gesù Cristo nei confronti del Padre) diviene causa di salvezza: è ciò in cui ci stiamo per addentrare in questa settimana santa. Non scandalizziamoci per un Maestro abbandonato dai suoi discepoli, tradito dai suoi amici e messo in croce da chi oggi lo osanna come Re: facciamo la fatica di rimanere anche noi, come Maria e Giovanni, sotto la croce, e domenica prossima potremo dire che ne è davvero la valsa la pena. |