Omelia (29-03-2015)
dom Luigi Gioia
La passione del Signore

Siamo giunti alla domenica della passione e della morte del Signore nostro Gesù Cristo. L'aspetto principale della liturgia odierna è la processione delle palme, che riviviamo ogni anno per misurare fino in fondo la contraddizione profonda del nostro cuore, per non dimenticare la tragica capacità che abbiamo oggi di acclamare il Signore e di considerarci suoi sostenitori e domani di rinnegarlo, di abbandonarlo, se non di crocifiggerlo e di vergognarci di lui. Poi nella liturgia odierna leggiamo la Passione, quest'anno dal Vangelo di Marco. E' una lettura che cerchiamo di affidare a più lettori e quindi che ci presenta una distinzione delle voci: quella del cronista, quella di Gesù e poi quella che tradizionalmente si chiamava in latino turba, cioè tutte gli altri personaggi. Quando questa Passione è cantata secondo lo stile romano, c'è una differenza di tonalità che è molto significativa. La voce del cronista generalmente è in una posizione mediana, oggettiva; la voce di Gesù è sempre la più grave, quella che scende più in basso, come a significare il peso, la gravità, la consapevolezza che ha Gesù di quello che sta vivendo. La voce è grave per significare la discesa di Gesù, la sua umiliazione, la sua Kenosi, il suo abbassamento, il suo "svuotamento" fino alla morte e alla morte di croce. Infine la voce chiamata turba comprende la folla, Pilato, Pietro, il Gran Sacerdote. Esse hanno tutte la stessa tonalità: salgono molto in alto, diventano quasi stridenti - sembra essere l'ultimo disperato tentativo del male, del peccato che è in noi, di farsi udire, prima di essere definitivamente sconfitto dall'incredibile umiliazione, dall'incredibile amore, dall'incredibile passione del Signore nostro Gesù Cristo. Uno dei modi di meditare la Passione consiste nel riprendere queste voci della turba: sono le voci che si agitano in noi, che però in questo racconto hanno un esito insperato, sfociano, come vedremo, in una conversione. Cominciamo con la voce di coloro che sono con Gesù a Betania nella casa di Simone il lebbroso quando una donna viene a spargere dell'olio profumato sui suoi piedi: hanno una reazione sdegnata, Perché tutto questo spreco di olio profumato! Si poteva benissimo vendere quest'olio per più di trecento denari e darli ai poveri. Perché questo spreco immenso della Passione e della morte del nostro Signore Gesù Cristo? Dal punto di vista umano, perché una persona delle qualità e delle potenzialità di Gesù si lascia rinnegare, uccidere, annientare in questo modo? E, più profondamente, perché Dio sceglie questo modo per salvarci? Perché questo spreco? E' un mistero che fa orrore alla nostra mentalità utilitaristica, alla nostra ossessione con il risultato, al nostro desiderio costante di affermarci al di sopra degli altri, di utilizzare quello che abbiamo per venderci cari, per non sprecarci, per non spenderci. Certo è legittimo desiderare la valorizzazione di quello che siamo, ne abbiamo bisogno, ma non a qualsiasi costo. C'è un valore più grande, o piuttosto, c'è una maniera più grande di valorizzare noi stessi, che è quella di spenderci per Dio e per i fratelli a causa di Dio. Assistiamo, sì, fratelli e sorelle, allo spreco di olio profumato. Talvolta abbiamo l'impressione che la nostra vita sia sprecata come questo olio profumato, ma nello stesso tempo nulla è sprecato di ciò che è donato, nulla è sprecato di ciò che è offerto in rendimento di grazie a Dio, nulla è sprecato di ciò che diventa Eucarestia in unione con Cristo, con la passione di Cristo. Passiamo poi a quest'altra voce: Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano? E' la voce di Pilato, ma è anche la nostra voce. Mentre vediamo Gesù avanzare attraverso le umiliazioni, le false accuse, i rinnegamenti di questa Passione, non possiamo non essere scandalizzati dal suo silenzio: "Gesù, non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano?". Eppure a Gesù non mancava certo l'eloquenza. Diverse volte nel vangelo si sottolinea che tutti erano sorpresi dal fatto che parlasse con autorità, erano sorpresi dalle cose che diceva. Fin da quando era bambino i dottori nel Tempio erano strabiliati dalla sua saggezza e dalla grazia con la quale si esprimeva. Perché allora durante la Passione Gesù tace? Perché non risponde nulla? Arriva il momento, fratelli e sorelle, e spesso possiamo sperimentarlo nelle nostre vite, nel quale ci rendiamo conto che non vale più neanche la pena di difendersi, perché di fronte a noi c'è solo un muro, non c'è più la volontà di ascoltare, c'è solo ostilità e rifiuto. Tacere allora non è una rinuncia all'altro. Al contrario, il silenzio può essere l'espressione di una consapevolezza che la sola maniera di conquistare l'altro, ad un certo punto, diventa una specie di resistenza passiva, un silenzio che non è ostilità, non è chiusura, ma diventa attesa. Un silenzio non vuoto, ma che sa e deve riempirsi di preghiera, di intercessione. Tutti viviamo l'esperienza del "nemico", non perché ci siano dei veri nemici (può succedere, ma è abbastanza raro) ma perché è inevitabile che nelle nostre vite si producano conflitti, malgrado tutte le buone intenzioni nostre e degli altri. E' inevitabile che sorgano incomprensioni che giungono a livelli tali da rendere il dialogo impossibile. Si introduce allora un silenzio spesso pesante, spesso sofferto, che non è però un silenzio passivo. Come con Gesù, ci sono situazioni nelle quali dobbiamo saper accettare di non rispondere nulla, anche di fronte a tutto ciò di cui siamo accusati. Non per rassegnazione, ma per un eccesso di speranza, perché il Signore - come dice il Salmo - giudica la nostra causa. Ciò che ci importa è ciò che il Signore pensa di noi. E sappiamo che rimettendo al Signore la nostra causa, egli ci risponderà - il Signore ci salverà e cambierà il cuore di coloro che ci odiano e trasformerà l'incomprensione in salvezza, in redenzione, per gli altri e per noi stessi. Un'altra voce della Passione è poi quella di coloro i quali di fronte alla croce gridano: Ha salvato altri, non può salvare se stesso? Cristo, Re di Israele, scenda ora dalla croce perché vediamo e crediamo. Ha salvato altri, non può salvare se stesso? Prima ci meravigliavamo del silenzio di Gesù, poi ci meravigliamo del fatto che lui che è Dio, che ha il potere di far venire una legione di angeli, che è onnipotente, che può tutto, resta sulla croce, non scende, non ci dà questa dimostrazione che, crediamo noi, sarebbe quella decisiva - una dimostrazione di potere, di forza. Ma Gesù sa che non è scendendo dalla croce che saremo condotti a credere. Sa che non è il potere che ci salva ma l'amore. Sa che possiamo essere condotti a credere solo dal fatto che egli dimora sulla croce, che fino alla fine non si tira indietro e che ci dimostra così il suo amore, un amore che sa andare fino alla morte e alla morte di croce. Tutte queste voci nella Passione sono scoordinate, sono gridate, sono acute, sono - come dicevamo all'inizio - un ultimo, disperato tentativo del peccato che è in noi - sono l'espressione dello scandalo che ci causa la vista di questo Dio fatto uomo, di questo Dio che prende su di sé il nostro peccato, di questo Dio che soffre. Sono delle voci che si agitano allora come oggi nei nostri cuori. Ma la potenza del silenzio di Gesù, la potenza della sua accettazione della croce, la potenza del suo amore sono tali che ad un certo punto, inaspettatamente, improvvisamente tutte queste voci confluiscono in quella ultima che ascolteremo nella Passione di Marco oggi, quella del centurione: Veramente quest'uomo era figlio di Dio. Solo quando il silenzio di Gesù è giunto al culmine, solo quando diventa il silenzio della morte, solo quando Gesù resta sulla croce fino a morirvi, solo quando spira, rimettendo, in un atto di suprema obbedienza e di suprema fiducia, il suo spirito al Padre: solo in quel momento qualcosa cambia nel nostro cuore, solo allora la nostra voce, le nostre labbra acquistano la capacità di confessare, di credere, di riconoscere in quest'uomo torturato, ucciso, inerme, impotente, in quest'uomo che non può salvare neanche se stesso - o che sembra non possa salvare neanche se stesso e quindi come potrebbe salvare noi - ebbene, solo allora riconosciamo che sì, quest'uomo era il figlio di Dio. In questa settimana della Passione del Signore nostro Gesù Cristo - fratelli e sorelle - prendiamo tempo per guardare la croce, per contemplare la croce. Guardarla, semplicemente. Non abbiamo bisogno di dire niente, non abbiamo bisogno di fare niente. Dobbiamo solo metterci davanti alla croce e guardarla lungamente. Perché in essa è espresso tutto il senso delle nostre vite, il senso del nostro passato, del nostro presente, del nostro futuro. Essa è la porta che ci dà accesso alla vita che Dio vuole darci. Guardando, contemplando questa croce, sussurriamo semplicemente, di tanto in tanto, per alimentare la nostra fede, la voce grazie alla quale siamo salvi, la voce che dà senso a tutta questa immane tragedia, la voce nella quale è racchiuso tutto il senso delle nostre vite: Sì, veramente quest'uomo era figlio di Dio!