Omelia (05-04-2015) |
mons. Roberto Brunelli |
Nulla ci può togliere la speranza "Non lasciatevi rubare la speranza", ripete spesso il papa Francesco. Belle parole, si può pensare, che però confliggono con la realtà quotidiana, di tanti giovani senza lavoro e dunque senza prospettive, di famiglie che non arrivano a fine mese, di minacce di morte imprevedibili come quella toccata ai turisti di Tunisi o ai passeggeri dell'aereo in mano a uno psicopatico. Belle parole, che però hanno un fondamento: lo troviamo in quello che oggi celebriamo. I vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) narrano delle "pie donne", come si suole chiamarle, le quali, il giorno dopo il sabato, di buon mattino, si recarono al sepolcro con oli aromatici per completare i riti funerari relativi a Gesù, forzatamente interrotti al tramonto del venerdì, quando all'uso ebraico cominciava il sabato, durante il quale era proibito qualunque lavoro, persino il pietoso ufficio di dare sepoltura ai morti. Trovarono però il sepolcro aperto, il corpo da onorare non c'era più, e al suo posto videro un giovane in veste bianca, latore di un sorprendente messaggio: "Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E' risorto, non è qui..." con l'incarico di andare a riferirlo agli apostoli. Questi resoconti degli eventi, si noterà, assegnano un ruolo importante alle donne. Lo fa anche l'evangelista Giovanni (20,1-9), concentrandosi però sulla sola Maria Maddalena, della quale narra che, trovato il sepolcro vuoto, corse a dirlo a Pietro e al "discepolo che Gesù amava", cioè lo stesso Giovanni; entrambi corsero a loro volta al sepolcro, e vi costatarono la presenza dei soli teli funerari nei quali era stato avvolto il corpo che non c'era più. Allora nella mente di Giovanni devono essere affiorate certe pagine degli scritti profetici e i tanti segni premonitori dell'evento, "e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti". Alla Messa vespertina è possibile leggere invece il brano di Luca (24,13-35) che riferisce quanto accadde proprio al vespro di quel giorno. Due discepoli, pur informati dei fatti del mattino ma evidentemente scettici sulla loro interpretazione, ne deducono soltanto che il corpo del crocifisso è scomparso, e con lui ogni speranza. Pertanto stanno tristemente lasciando Gerusalemme, quando per via esprimono la loro delusione a un apparentemente occasionale compagno di viaggio, nel quale non riconoscono il Risorto. Questi, "cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui"; poi, nel villaggio di Emmaus, "quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista". Si può immaginare l'entusiasmo dei due, i quali subito tornano a Gerusalemme, a raccontare l'accaduto agli apostoli, peraltro dando loro conferma di quanto essi già sanno e a loro volta possono raccontare: "Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!" "Davvero il Signore è risorto": è questo il dato centrale della fede che da duemila anni i cristiani, pur divisi su altre questioni, sono concordi nel tramandare e celebrare. Cattolici, ortodossi, luterani, anglicani eccetera, tutti basano la loro fede sul fatto che Gesù non è rimasto prigioniero della morte ma è risorto, dando così la vita eterna a quanti si affidano a lui. Essi sanno che la storia umana si divide in due, prima e dopo la risurrezione di Gesù. Prima (o senza) di lui, l'uomo è in balìa di se stesso, privo di una direzione verso cui camminare, proteso a realizzarsi, spesso a scapito degli altri, entro il breve spazio della vita terrena, chiuso entro tribolazioni, delusioni o successi effimeri. Dopo, con lui, il cuore e la mente si aprono a prospettive infinite; qualunque cosa accada, l'uomo ha una speranza. |