Omelia (03-04-2015) |
don Michele Cerutti |
Ieri ci siamo soffermati l'Eucaristia. Oggi il nostro sguardo si volge alla Croce. Queste sono due colonne della nostra fede che dobbiamo riconoscere come fondamentali. All'inizio dell'era cristiana la croce non era ancora considerata il simbolo della vittoria; era, invece, vista come un ricordo tanto aspro da non poter essere riproposta nella sua nuda crudezza, sicché furono preferiti altri segni che richiamassero l'evento. Si usò l'albero della nave tagliato in alto da un palo trasversale, l'àncora, l'uomo che prega a braccia aperte, il serpente attorcigliato all'albero... Era un modo per coprire la "vergogna del fatto". La morte di Gesù è stato l'evento più atroce, inaccettabile e scandal La Croce è per noi così fondamentale che ogni volta la vediamo maltrattata non possiamo rimanere indifferenti. Ci sono ancora impresse le immagini forti di Mossul, nella Valle di Ninive, dove al posto della Croce è stata issata bandiera dell'Isis. Guardando quella scena risuonano alla mente le parole di San Paolo nella lettera alla Comunità di Corinto. "La Croce è stoltezza per i pagani, ma per i discepoli di Cristo è potenza di Dio". Quella scena non lascia indifferente il credente. Attenzione tuttavia a limitarsi alla condanna di un fatto così grave. La Croce è custodia dell'amore di Dio per ciascuno di noi. Guai se vivessimo in maniera indifferente il susseguirsi di immagini di morte che ci arrivano con una certa frequenza sui nostri media. Penso allo spettacolo terribile dei profughi del Mediterraneo che bussano alle porte della nostra Europa nell'indifferenza degli Stati e dei popoli che si accendono per difendere le radici cristiane dell'Europa e poco interessate a produrre i frutti della carità che dovrebbero crescere proprio da quelle radici. Se la Croce è simbolo di custodia, come ci richiama quest'anno la Via Crucis proposta al Colosseo, non possiamo rimanere indifferenti a quelle categorie di persone che difficilmente riusciamo a incontrare nel nostro cuore e nella nostra mente. Penso ai tossicodipendenti, agli alcolizzati, agli omosessuali, ai nomadi o a coloro che nella vita hanno sbagliato e ora intendono reintegrarsi. E' giusto ricordarci queste categorie di persone perché sono molto spesso vicine a noi e guardiamo non solo con una sorta di disinteresse, ma con aria di sospetto. Abbiamo bisogno di essere pazzi in Cristo ovvero il"pazzo in Cristo" è l'uomo che risponde con tutto il suo essere alla follia di Dio, che entra anche lui nella «stoltezza della croce». Il pazzo in Cristo è colui che prende alla lettera le Beatitudini e il Discorso della montagna, tutta quella insopportabile follia: la terra donata ai miti, la gioia ai perseguitati e I'offrire la guancia sinistra quando siamo colpiti sulla destra, in tre parole: amare i nemici. Il pazzo in Cristo rivela possibile l'impossibilità del cristianesimo. Quanto c'è bisogno oggi di ricuperare un cristianesimo pazzo che non si accodi in una dimensione di questo mondo troppo preoccupato solo dell'esteriorità della Croce, ma che non vive accanto ai veri crocifissi della storia molto spesso teorizzando su di loro. Sia quella del Venerdì Santo occasione per pensare contemplando la Croce qual è l'azione più giusta per stare vicini attenti a Cristo crocifisso nei fratelli. |