Omelia (02-11-2004) |
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Ravvivare la fede e la speranza La Chiesa ci invita oggi a ricordarci dei morti per rinnovare i sentimenti di riconoscenza che loro dobbiamo e invocare su di essi la misericordia di Dio; ma più ancora essa ci esorta a ravvivare la nostra fede e la nostra speranza, rivelandoci nella luce del Vangelo il vero senso della morte. - Cristo ci dice: "Io sono la risurrezione e la vita". Sono le parole ch'egli rivolge, presso la tomba dell'amico Lazzaro, alle sue due sorelle in pianto. E per provare che quello non era solo un modo di dire, fa uscire vivo il morto dalla tomba. Se ci fosse ancora qualche dubbio sulla sua potenza, vorrà morire lui stesso - e di quale morte - per poterne trionfare. Meno di tre giorni dopo essere stato sepolto, uscirà dalla tomba vivo e glorioso. "Cristo è risorto! - esclama san Paolo - La sua risurrezione è la garanzia della nostra". - Cristo ci dice: "lo vado a prepararvi un posto". È la promessa che fa ai suoi discepoli, al momento di lasciarli per ritornare al Padre. La morte non può quindi essere la fine di tutto e il ritorno al nulla. Per il cristiano essa non è angoscia straziante, separazione disperata: è l'incontro definitivo con Dio e con coloro "che ci hanno preceduto nella casa del Padre, dopo essersi addormentati nella fede", per riprendere le parole della liturgia. Invece di essere annientamento e distruzione, essa è completezza e pienezza. E un passaggio, non un termine: "Per coloro che credono in te, o Signore, - leggiamo nel prefazio dei defunti - la vita non è tolta ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un'abitazione eterna nel cielo". |