Omelia (05-02-2013) |
Paolo Curtaz |
Commento su Mc 5,21-43 Qualche mese fa il filosofo Cacciari scrisse un interessante articolo sul sorriso di Gesù. Siamo reduci da molte riflessioni che hanno sottolineato l'aspetto salvifico e redentivo del Maestro, la forza delle sue parole e il suo impegno portato fino alla morte. Insomma: la fede ha molto a che fare con l'aspetto serioso della vita. Eppure in quell'articolo, giustamente, il filosofo notava che non si può raccontare un vangelo, una buona notizia, senza essere almeno di buon umore. L'unica volta, nel nuovo Testamento, è in questo racconto ed il ridere di cui si parla ha una accezione orribile: i famigliari che si sono radunati per piangere la morte della figlia di Giairo si lasciano andare ad un riso sguaiato, sarcastico che ne rivela la piccineria (come si può passare così rapidamente dalle lacrime al riso?). Non così l'atteggiamento di Gesù che prende a cuore le sorti di Giairo e dell'emorroissa. Tutta la sua azione è un inno alla vita, una delicata tessitura di sguardi e sorrisi, di intese e di complicità. Non capiscono gli apostoli che contestano la pretesa di Gesù di sapere chi l'abbia toccato. Non capiscono i famigliari di Giairo che hanno già indossato la maschera del lutto. Chi non sa sorridere alla vita non può vedere il sorriso di Dio. |