Omelia (12-04-2015)
Agenzia SIR
Commento su Giovanni 20,19-31

L'incontro di Gesù risorto con Tommaso, il discepolo restio a credere nella risurrezione, sintetizza emblematicamente la complementarietà di vedere e credere. "Poiché mi hai veduto, tu hai creduto" (Gv 20, 29). Tommaso e gli altri testimoni oculari vedono e credono. Poi, in base alla loro testimonianza, credono tutti gli altri seguaci di Gesù: "Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola" (Gv 17, 20). Gli altri credono senza vedere e sono beati ancora di più: "Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto" (Gv 20, 29). Beati, non perché la fede autentica debba essere senza la visione, ma perché credono come quelli che hanno visto. Il vedere credente dei primi attraverso la testimonianza della vita e della parola raggiunge gli altri, viene in qualche modo partecipato da loro nella fede, passa così di generazione in generazione per tutti i secoli. Anche Tommaso, per la testimonianza dei colleghi che già hanno incontrato il Risorto, avrebbe dovuto credere prima di vedere. Per questo, Gesù, mentre lo invita a guardare e a toccare le ferite, lo rimprovera benevolmente: "Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!" (Gv 20, 27).
Caravaggio rappresenta Gesù che, prendendo il polso, guida la mano destra di Tommaso a toccare la ferita del costato, fino a entrare con il dito indice sotto la pelle. Il Maestro, con misericordiosa condiscendenza, piega il capo verso il discepolo, gli dice qualcosa con le labbra socchiuse, delicatamente con la mano sinistra trae a sé il braccio destro di lui, mentre tiene scoperto il petto con la propria destra. Il discepolo raccoglie tutte le energie, per vincere la sorpresa e l'imbarazzo e concentrarsi sulla ferita e palparla: fissa lo sguardo, aggrotta la fronte, preme la mano sinistra sull'anca. Altri due discepoli, rappresentativi di tutto il gruppo, sono concentrati anch'essi sull'evento con gli sguardi attenti e le fronti corrugate. Le quattro vigorose figure, tagliate a tre quarti della loro altezza, investite dalla luce calda che piove da sinistra in alto, emergono dalla densa oscurità dell'ambiente a formare un gruppo compatto, ellittico in senso orizzontale. Le teste si dispongono a quadrifoglio e tutti gli sguardi fissano il dito e la ferita. Si ha l'impressione di un movimento bloccato, come fosse un evento di luce, di rivelazione e di grazia sempre in atto. I discepoli hanno l'aspetto di popolani, segnati dalla durezza della vita con rughe vistose, unghie sporche e uno strappo del vestito. I loro abiti, in contrasto con il candido lenzuolo di Gesù, sono intensamente colorati e contemporanei dell'epoca del pittore: suggeriscono che l'incontro con il Risorto avviene anche oggi e in ogni tempo. Noi oggi siamo interpellati dal realismo dell'incarnazione e della risurrezione e chiamati a condividere la fede di Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!" (Gv 20, 28).

"Desidero che la prima domenica dopo Pasqua sia la Festa della Mia Misericordia. Figlia Mia, parla a tutto il mondo della Mia incommensurabile Misericordia! L'Anima che in quel giorno si sarà confessata e comunicata, otterrà piena remissione di colpe e castighi. Desidero che questa Festa si celebri solennemente in tutta la Chiesa". (Gesù a S. Faustina)

"Cari fratelli e sorelle, ho pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia. È un cammino che inizia con una conversione spirituale; e dobbiamo fare questo cammino. Per questo ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio. Sarà un Anno Santo della Misericordia. Lo vogliamo vivere alla luce della parola del Signore: ‘Siate misericordiosi come il Padre'.
Sono convinto che tutta la Chiesa, che ha tanto bisogno di ricevere misericordia, perché siamo peccatori, potrà trovare in questo Giubileo la gioia per riscoprire e rendere feconda la misericordia di Dio, con la quale tutti siamo chiamati a dare consolazione ad ogni uomo e ad ogni donna del nostro tempo".
(Papa Francesco, 13 Marzo 2015)

Commento a cura di don Angelo Sceppacerca