Omelia (02-04-2013) |
Paolo Curtaz |
Commento su Gv 20,11-18 Possiamo essere talmente accecati dal dolore da non riuscire a riconoscere la presenza del Signore che disperatamente stiamo invocando. Possiamo essere talmente fermi al venerdì santo da non riuscire a girarci, ad alzare lo sguardo per riconoscere che il crocefisso è veramente risorto. Come accade a Maria di Magdala, stordita dall'assenza del cadavere del suo Maestro: a strazio aggiunge strazio, non avendo nemmeno più un corpo da venerare. Ma sbaglia clamorosamente, la discepola. Il Signore le viene incontro e la chiama per nome. Chiamare per nome, in Israele, significa credere e conoscere profondamente la persona che si chiama. Gesù conosce bene l'affetto e il dolore di Maria e la invita ad uscire dalla sua sofferenza per convertirsi alla gioia. Anche noi, paradossalmente, possiamo dimorare nella sofferenza; non c'è che un modo per superare il dolore: non amarlo. Troppo spesso, proiettando nella sofferenza del crocefisso la nostra stessa sofferenza, siamo fermi al venerdì santo. Il tempo di Pasqua ci educa al cambiamento, ci spinge oltre, ci aiuta a cercare le cose di lassù, a risorgere con Cristo, finalmente. |