Omelia (17-05-2013)
Paolo Curtaz
Commento su Gv 21,15-19

Per tre volte Pietro aveva negato di conoscere il Maestro davanti alle sollecitazioni di una servetta. Il principe degli apostoli aveva fatto una ben magra figura, smentendo quanto solennemente promesso qualche ora prima. Per questa ragione, probabilmente, gli evangelisti ci presentano Pietro come l'ultimo, fra gli apostoli, a convertirsi alla gioia. Gesù è risorto, certo, e Pietro ha avuto anche la straordinaria esperienza di un'apparizione privata che non deve essere andata molto bene visto che nessuno ne parla. Ma è come se la resurrezione fosse per qualcun altro, non per lui. Perciò Gesù viene per salvare la pecora che si era smarrita, sul lago di Tiberiade alla fine di un'ennesima notte infruttuosa. Perciò lo prende da parte e lo aiuta a riconciliarsi con se stesso. Pietro è incalzato e ammette di voler bene al Signore. Ma non è più disposto a fare grandi proclami e grandi promesse. Troppo il dolore per osare ancora. Gesù sorride: ora Pietro è pronto. Poiché ha sperimentato il proprio limite ora è capace di accogliere quello degli altri, senza giudizio e supponenza, ma con la misericordia che forgia i santi. Proprio come è successo a Pietro.