Commento su Gv 3, 7-10; 15
«Gesù disse a Nicodèmo: "Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall'alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito". Gli replicò: "Come può accadere questo?". Gli rispose Gesù: "Tu sei maestro di Israele e non conosci queste cose? [...]. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna"».
Gv 3, 7-10; 15
Come vivere questa Parola?
Nel Vangelo odierno di Giovanni è sempre il dialogo di Gesù con Nicodèmo a tenere il banco. Dopo esserci soffermati (ieri) sulla prima parte di questo dialogo, l'eco della quale ritorna anche oggi: dovete nascere dall'alto, ora ci limiteremo a evidenziare l'ultima parte di esso: l'innalzamento di Gesù sulla croce. Per cercare di spiegare la "necessità teologica" della passione e morte del Messia, Figlio dell'Uomo, Gesù porta un paragone con un fatto avvenuto nella storia d'Israele durante il cammino nel deserto, dopo l'uscita dall'Egitto. Secondo il libro dei Numeri, gli ebrei furono attaccati da serpenti mortiferi, e allora Mosè innalzò su un'asta un serpente di bronzo: chi lo guardava, anche se morso dai serpenti, restava in vita, era salvato (Nm 21,4-9). Questo racconto antico viene reinterpretato da Gesù in un'altra luce ‘sapienziale', vedendo nel serpente un segno di salvezza (vedi Sap 16,6-7).
Comprendiamo ora le parole di Gesù, che sono un pressante invito a credere nel Figlio dell'Uomo innalzato sulla croce, come il serpente innalzato da Mosè: chi crede nel crocifisso, trova salvezza e vita. La base del confronto sta nel fatto che in entrambi i casi la salvezza avviene mediante un ‘innalzamento'. Questo termine ha un duplice significato per Gesù, e allude sia al suo innalzamento sulla croce (vedi Gv 8,28), sia alla sua risurrezione e glorificazione. La visione della croce come innalzamento-glorificazione ci appare umanamente insostenibile, eppure è lo sguardo giusto che ci permette di intravedere un ‘oltre' stupendo: non solo credere in Gesù sulla Croce come dono di Sé, come la mirabile storia dell'Amore più grande, ma credere anche che la Croce è Gloria e Vittoria!
Quanto siamo lontani (anni luce!) dalla prospettiva, per esempio, di un notissimo scrittore pagano - Cicerone - che vede la croce in una visione lugubre, totalmente opposta (vedi qui sotto il testo citato). Gesù ha trasformato la croce da strumento orrendo di morte, in strumento di Salvezza, di Gloria e di Vittoria!
La voce di un grande scrittore latino pagano
"Egli definisce la pena di morte in croce così: «crux crudelissimum taeterrimumque supplicium, cioè: «la croce è il supplizio più crudele e orrendo»"
Marco Tullio Cicerone, Contro Verre II 5 165.
Don Ferdinando Bergamelli SDB - f.bergamelli@tiscali.it