Omelia (19-04-2015) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Credere per provare a vivere Nelle Scritture si parlava tantissimo di Gesù. Si era espressamente detto, anche se non esplicitamente e in modo velato, che egli avrebbe sofferto, che sarebbe stato riprovato, perseguitato e vilipeso e che tutto questo era necessario perché poi entrasse nella gloria. Ma perché i discepoli non avevano scrutato a fondo le Scritture? Perché adesso stentavano nel credere alla presenza del loro Maestro, al punto che questi deve anche consumare una porzione di pesce arrostito per rendersi credibile? Gesù deve dimostrare loro, prova la mano e i piedi, che è proprio lui e non un fantasma. Mostra loro evidentemente, infissi nei piedi e nelle mani, i segni delle scalfitture ricevute sul corpo durante la passione, ma il suo corpo è tuttavia ben diverso dal precedente: non è più sottomesso alla caducità del tempo e dello spazio, non soccombe più all'usura e alle necessità terrene anche minime, ma è un "corpo glorificato". Superiore alle aspettative umane, quale quello che è subentrato dopo la passione, appunto nella risurrezione, per opera dello Spirito Santo. Ma come mai i discepoli dubitano della sua presenza, come già Tommaso (come già visto la settimana scorsa) aveva dubitato con la pretesa addirittura di palpare i segni dei chiodi e il costato? Perché il loro cuore era indurito. Non voleva accontentarsi cioè delle parole della Scrittura, ma ad esse era precluso e ostinato. Avrebbero dovuto reagire con gli occhi della fede di fronte alle sue apparizioni, la quale è a sua volta "prova delle cose che non si vedono" (Eb 11, 1) e riporre la loro attenzione alle prefigurazione che da Mosè in poi si riferivano a Cristo. La fede avrebbe dovuto far cogliere a loro la necessità oggettiva che il Cristo patisse e fosse perseguito per poi morire e risuscitare e invece soltanto una prova materiale (quella del mostrare mani e fianco e del magiare il pesce) riesce finalmente a convincere questi interlocutori poco sensibili. La fede, cioè l'adesione incondizionata al mistero che è appannaggio solamente divino e che non ci appartiene, è la condizione per vivere intensamente i nostri rapporti con il Dio vincitore del male e della morte e per fare dell'evento della risurrezione il nostro habitat quotidiano. Nella fede siamo sorretti a credere e ad accogliere il Signore come colui che si fa nostro "avvocato" presso il Padre in merito ai peccati, così come avverte Giovanni (II lettura), che ci rassicura della certezza che la morte di Cristo non è stata vana perché per mezzo di essa Dio ha riconciliato l'uomo a sé; con la resurrezione invece il sacrificio e la morte sono state definitivamente superate in quando Egli ci ha donato la vita. La resurrezione è tuttavia un fatto di fede e ad essa deve corrispondere l'attitudine libera ed elevata del cuore. Tutto è possibile a Dio, anche apparire improvvisamente senza infrangere le porte sbarrate e manifestarsi nella pienezza della gloria. Anche mostrare mani e fianchi in u corpo inverosimilmente trasformato ed esaltato al massimo livello della gloria. Dio in Cristo manifesta la sua onnipotenza come prerogativa di gloria e di vita, per la quale tutto ciò che si poteva compiere per affrancare l'uomo dalla morte sotto mentite spoglie di vita è stato realizzato una volta per tutte. Ciò nonostante, come avviene nel caso di questi discepoli presenti, ci si ostina a non credere e a mostrare panico e stupore, perché si vorrebbero prove inconfutabili ed elementi incontrovertibili, certezze e dimostrazioni logiche e scientifiche che ci delineino l'evidenza dei fatti che Gesù è risorto e vive per sempre. In realtà non c'è consolazione più grande se non quella di aprire il cuore alle parole della Rivelazione e alle Scritture, le quali, uniche, possono garantire la certezza della resurrezione come un fatto straordinario che ha le sue ripercussioni anche ai nostri tempi. La fede non è un "provare per credere", ma un credere per provare a vivere. Essa richiede apertura incondizionata e spontanea, accondiscendenza, fiducia e sequela senza condizioni Certamente la fede non esclude possibilità di razionalità e di speculazione astratta, tuttavia essa è caratterizzata dalla gratuità dell'"Io credo". Cristo dal canto suo, una volta risuscitato, appare deliberatamente e nella forma convincente e determinata. Come dirà poi Paolo, comparirà anche a più di 500 persone oltre che a lui medesimo, recando la pace, manifestando il suo innalzamento glorioso, comunicando (Giovanni) il dono dello Spirito e invitando i suoi a "fare discepoli tutti nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo". Le apparizioni sono un prolungamento del fenomeno della tomba vuota e nella presentazione del corpo glorioso di Cristo ci sono di sprone a che la resurrezione non resti un mero fatto avvenuto una volta per sempre nella storia. |