Omelia (19-04-2015)
Paolo Curtaz
Uno sguardo nuovo

Rientrano a Gerusalemme, i discepoli di Emmaus.
Sono tornati di corsa, col cuore in tumulto. Ripercorrono la strada che, mestamente, hanno fatto all'inizio di quel triste giorno. Il cuore era appesantito, scosso, rattristato.
Fino a quando quel viandante aveva attaccato bottone, togliendoli dalla loro cupezza, prendendoli in giro per la lentezza del loro cuore.
Poi il pasto condiviso e il gesto del pane spezzato.
E, lì, lo hanno riconosciuto.
La strada, ora, è leggera e la terra brucia loro sotto i piedi.
Entrati in città si dirigono nella casa di Giovanni Marco o, forse, in quella dell'evangelista Giovanni. Sanno che gli scampati sono chiusi, impauriti, nella stanza al primo piano, quella della Cena.
Si fanno riconoscere. Entrano. Raccontano, in affanno.
E mentre parlano, accade. Eccolo.

Il risorto
Che meraviglia! Parlano del risorto e il risorto appare!
Così la fede si è trasmessa fino a noi, oggi, fino a me. E io mi preoccupo di restituirvela, nella povertà di ciò che sono.
Quando parliamo del risorto, quando raccontiamo di come lo abbiamo conosciuto e incontrato nello spezzare il pane, l'eucarestia, o lungo la strada, il cammino di conversione, il Signore risorto, se non trova ostacoli, entra nel cuore di chi ascolta.
E, così, da bocca a orecchio, da cuore a cuore, siamo qui, oggi, a celebrare il risorto.
Nonostante i nostri limiti e i nostri dubbi.
Dubbi che derivano dalla fatica nel credere nella testimonianza dei discepoli, come accaduto a Tommaso. O dubbi che derivano, in questi tempi, dalla persecuzione che sta uccidendo e mettendo a dura prova migliaia di fratelli cristiani, colpevoli solo di essere discepoli del Signore Gesù. Il mondo ci odia, come ha profetizzato il Maestro. Ora è evidente a tutti.
Crediamo, certo, ma Gesù ci appare come un fantasma, lontano ed evanescente.
Un'idea, un ideale, troppo poco presente per sostenerci nel momento della prova.
Lo sa, il risorto. E ci incoraggia.
Riempiendoci di doni.

La pace
La pace, anzitutto. Quella che ci deriva dalla certezza di essere amati.
La pace che non è un'irrealistica utopia di un mondo che, invece di andare verso l'unità, sembra esplodere nell'odio e nella violenza.
Il cristiano è pacifista perché pacificato, perché, in Cristo risorto, sa che nessuna croce è definitiva.
La pace, che non esclude momenti di sconforto, di dubbio, di rabbia, è un dono che va accolto e conquistato. Il primo dono ai credenti.
Dimorare nella pace significa mettere Cristo al centro, prenderlo come punto di riferimento definitivo e vincolante.
Amare. Vivere da risorti.
La resurrezione non è qualcosa che ci capiterà un giorno, se facciamo i bravi. Ma la condizione in cui siamo posti da ora, se credenti.

Una mente spalancata
Per poter vivere da persone riconciliate col mondo e con gli altri, con noi stessi e col nostro passato, siamo chiamati a interpretare e leggere la nostra vita alla luce della resurrezione.
Difficile, ovvio.
Mi consola il fatto che gli apostoli, prima di noi, abbiano dubitato, come me.
Eppure quella è la strada, l'unica percorribile, l'unica vera.
Il mondo da sempre è divorato dalla violenza e dall'egoismo e l'uomo, nonostante le periodiche e illusorie prospettive che vedono in esso una bontà naturale nei fatti indimostrabile, è segnato dall'ombra del peccato e della morte.
Eppure siamo salvati e redenti.
Risorti con Cristo, cerchiamo le cose di lassù, dove è seduto il Cristo.
Lo Spirito, dono del risorto, ci permette, attraverso la meditazione della Scrittura, di leggere la nostra vita ad un livello più profondo e autentico.

Una bella sfida, amici.
Ma se siamo qui, dopo duemila anni, è perché qualcuno ha preso molto sul serio l'invito del Signore ad essere suoi testimoni.

Io ci sono, nel mio piccolo. E tu?

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