Omelia (26-04-2015)
fr. Massimo Rossi
Commento su Giovanni 10,11-18

Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio?
Ci ha dato Suo Figlio, il buon pastore che dà la vita per le sue pecore.

Mi ha sempre colpito la tesi di Giovanni secondo la quale Gesù rimane sempre signore e padrone di se stesso: nessun complotto politico potrebbe mai coglierlo di sorpresa, né farlo cadere in trappola.
È Lui che decide quando e come compiere la sua missione: perché la missione di Gesù è donarsi agli uomini come amore infinito del Padre.
Certo, questa tesi potrebbe suscitare l'obbiezione che, allora, è stato tutto un gioco, una colossale finzione architettata a regola d'arte dalla Trinità; è come se Dio avesse pensato: "Ora scendo sulla terra, sto un po' con gli uomini... so che non mi accoglieranno; anzi, le mie parole e i miei gesti li scandalizzeranno a tal punto che mi renderò odioso; tenteranno addirittura di uccidermi. Quando sarà il momento, farò loro credere di avermi vinto. In verità avrò vinto io, vinco sempre io, perché IO SONO il Signore della vita, posso morire e posso risorgere quando voglio. Poveri uomini: si illudono di essere come me, di essere come Dio... ".
Il realtà, ed è il particolare più sconcertante, il progetto di Dio di salvare il mondo con la morte del figlio, non toglie nulla alla libertà e responsabilità di coloro che tramarono contro Gesù e si resero colpevoli, o complici della sua morte. Nessun gioco, nessun trucco, nessuna finzione. È tutto vero! Ma resta e resterà sempre un mistero come abbia potuto un piano perverso e criminoso come quello messo in atto contro il Signore dal Sinedrio di Gerusalemme, con la complicità di Roma, (come abbia potuto) realizzare il piano salvifico del Padre. Si tratta di due coordinate ortogonali: ce ne vogliono sempre due per tracciare un grafico, che è la risultante di entrambe.
Del resto, la fede ci insegna che in ogni storia umana, il piano della salvezza non è mai collocato su una sola delle coordinate: immaginare che la salvezza sia opera dell'uomo soltanto, e che Dio non c'entri, è sintomo di orgoglio becero e miope. Ma anche credere che la salvezza sia solo opera di Dio e che l'azione dell'uomo non abbia alcun valore determinante, non solo squalifica la creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio, ma non depone neanche a favore di Dio!...
Dunque, la salvezza è opera tutta di Dio e tutta dell'uomo!
C'è un altro particolare, ma particolare non è, che già l'Antico Testamento aveva messo in luce: la distanza abissale che separa le vie di Dio, da quelle degli uomini, i pensieri di Dio da quelli degli uomini (cfr. Is 55,8-9). San Paolo vi ritorna su, scrivendo ai cristiani di Corinto: "Noi predichiamo Gesù crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini." (1Cor 1,22-25).
Questa distanza incolmabile tra l'uomo e Dio, come lo è quella che conduce l'ordinata sempre più lontano dall'ascissa, è prodigiosamente colmata nella persona di Cristo, vero uomo e vero Dio.
È una distanza inizialmente pari a zero: il racconto della creazione presenta il primo uomo e la prima donna in perfetta sintonia di pensiero con Dio, in perfetta comunione di intenti.

Ma questa perfetta sintonia, questa comunione vanno presto in crisi: le due strade cominciano a divergere e si separano sempre di più: l'atto di orgoglio che spinse Eva a mangiare il frutto proibito e a darne al suo uomo da mangiare, diventa omicidio nelle persone dei due figli Caino e Abele.
E un crimine contro la vita umana è un crimine contro Dio che l'ha voluta, creata, amata!
Fin da quei giorni l'umanità attendeva un miracolo... perché soltanto un miracolo avrebbe potuto ricondurre gli uomini a Dio, i loro amori imperfetti all'Amore perfetto di Dio.
Chissà se questo era davvero il desiderio dell'uomo... Certamente Dio lo desiderava: vedere che il suo sogno appena realizzato si era già irrimediabilmente frantumato era fonte di dolore insopportabile, un dolore addirittura mortale.
Questo è il dolore del Crocifisso, la sua pena d'amore.
Si può amare da morire? si può amare da morirne? Dicono di sì. Di amanti non corrisposti, che soffrivano e soffrono tuttora le pene dell'inferno, ne ho conosciuti anch'io. Forse ci siamo passati tutti, almeno una volta...
Ma la passione che Dio ha patito nel suo Cristo crocifisso non è stata inutile, come, spesso lo sono le nostre... La risurrezione ha prodotto e produce la salvezza per tutti coloro che credono!
Avete notato la promessa di Gesù, presente nel Vangelo di oggi: "Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore."? non è soltanto una speranza, quella di Gesù, quella di Dio: è una certezza assoluta! Beh, complimenti, Signore! hai molta fiducia in noi, molta più fiducia di quanta ne abbiamo noi, in noi stessi!...
Che scoperta! è stato così da sempre...
Avete notato, ancora, che il Vangelo di oggi parla, sì, di comando di Dio, ma non rivolto a noi, bensì rivolto a Gesù.
Ecco un'ultima verità ancor più difficile da comprendere e da sottoscrivere: l'obbedienza di Gesù non è l'obbedienza di un servo, ma di un figlio. L'amore assoluto del Padre per suo figlio coesiste con la Sua decisione di offrirlo, vittima innocente per i nostri peccati.
Dobbiamo riconoscerlo: le parole non bastano, le parole non servono... perché non ci sono parole che possano spiegare questa aporia. Ciò che Dio impedì ad Abramo, lo fece lui stesso con Gesù...
Lasciamo la questione in sospeso, forse la risposta non l'avremo mai, e il mistero rimarrà per sempre. È il mistero della nostra salvezza. È il mistero della fede.