Omelia (03-05-2015)
fr. Massimo Rossi
Commento su Giovanni 14,1-6

Siamo nel cenacolo, a cena con Gesù: ancora frastornati dal gesto che ha appena compiuto, inginocchiandosi a lavarci i piedi, e dall'annuncio del tradimento da parte di uno di noi; un altro, ci ha detto il Signore, un altro sempre di noi, giurerà più volte di non aver mai conosciuto il Maestro...
Ora è tornato a parlare con il tono di sempre, amabile, profondo, diretto, ma mai duro: dice che Lui è la vite e noi i tralci. Ci chiede di rimanere in lui: chi rimane in Lui fa molto frutto; a questa condizione, potremo chiedergli qualunque cosa, e Lui, Gesù la farà, ce l'ha promesso.

Ho immaginato per un istante di essere anch'io tra i Dodici, nel cenacolo, a cena col Signore.
Riflettendo su questa pagina di Vangelo, sulle prime, non mi veniva in mente niente che non fosse già stato detto e stradetto... è un brano famosissimo, quello della vite e dei tralci.
Tuttavia, un particolare ha attirato la mia attenzione, forse per la prima volta: la forza ce la dà il Signore, ma i frutti li facciamo noi! l'energia è la Sua, ma i frutti sono i nostri! Bello, no?
La fede è quel legame che sa rendere ragione delle capacità di ciascuno, le valorizza al massimo, consente a ciascuno di dare il meglio di sé! Noi abbiamo bisogno di Dio, ma anche Dio ha bisogno di noi! Come i rami senza il tronco non sono in grado di produrre nemmeno le foglie, così anche il tronco senza i rami.
In altre parole, la salvezza è come un gioco di squadra, e Dio è il commissario tecnico: il c.t. dà le indicazioni, ma in campo entra (solo) la squadra: affinché il gioco riesca, affinché la squadra vinca, è necessario che ciascuno segua gli ordini del Mister, e faccia la sua parte, tutta e solo la sua parte. Non ci si può improvvisare portieri, o punte avanzate, o mediani... - e pensare che odio il calcio! -; il dilettantismo non è mai vincente: dobbiamo diventare professionisti della fede!
Già, facile a dirsi!
Ma, che significa diventare professionisti della fede? addirittura, l'espressione appare così fredda e impersonale... fa pensare a quegli uomini d'affari tutti lavoro e...lavoro, all'apparenza privi di emozioni, praticamente degli androidi,...o quasi; magari anche cordiali, per carità, entusiasti, appassionati, a modo loro anche amabili... però, se lo sono (amabili), lo sono per dovere professionale... Il cuore, quello non ce l'hanno! il cuore non c'entra! il cuore si usa per le relazioni sentimentali, per le amicizie... L'esperienza insegna: mai mescolare il lavoro con gli affetti! E poi, di tempo per gli affetti, la professione non ne lascia mai!... Qualcuno sposa addirittura la sua professione; diventa professionista dentro! Innamorarsi è un errore, e, presto o tardi, se ne accorge, il professionista, ma anche lo/la sfortunato/a mortale che si è innamorato/a del professionista... Quanti matrimoni vanno in crisi perché la professione di uno dei coniugi - o di tutti e due - assorbe ogni energia! Se poi arrivano anche i figli, poveri loro, i figli! Una volta, sentii un bambino che, alla domanda: "Che regalo vorresti quest'anno per Natale", rispose: "Vorrei che papà giocasse qualche volta con me."...
Beh, proprio non avrei pensato che, dalla parabola della vite e dei tralci, sarei arrivato a delineare l'identikit del professionista cronico, malato di lavoro... chissà perché...? boh!
Forse, perché assolutizzare il lavoro è una forma grave di idolatria, pertanto non è compatibile con l'amore per Dio... Disponibile a discuterne! Del resto, dovendo decidere se credere nel Dio di Gesù Cristo, per rimanere in Lui, oppure no, è meglio avere le idee chiare fin da subito.
Il desiderio di Dio può restare sepolto sotto tanti altri desideri...mica tutti cattivi, mica tutti immorali! come, appunto il desiderio di avere un buon lavoro; con la crisi che c'è, un lavoro stabile e ben remunerato è il minimo che un giovane possa desiderare, specie se pensa di metter su casa e famiglia. Tuttavia i bisogni materiali non possono soverchiare il bisogno di Dio, (non possono) soffocare il nostro amore per Lui! un amore che non è semplicemente l'attrazione, l'orientamento generico verso un'entità soprannaturale indistinta; è un amore vero, e come tale obbedisce ad uno statuto suo proprio, pervadendo di sé ogni nostro essere, ogni nostro fare.
Rimanere in Cristo, lo ripeto, significa portare i frutti migliori negli affetti, e anche nel lavoro! Se poi stiamo bene con gli altri, e con il nostro lavoro, stiamo bene anche con noi stessi! Il Signore lo dichiara senza mezzi termini: "Senza di me non potete fare nulla". Chi non rimane in Lui, la sua vita è destinata fatalmente ad avvizzire e seccarsi.
La prima Lettera di Giovanni fa riferimento al cuore dell'uomo, quello che sembra assente nel businessman, come luogo del discernimento di sé. Qualunque cosa il nostro cuore ci rimproveri, ebbene, Dio è più grande. Non si tratta di indulgenza; quella di Dio è misericordia, un sentimento molto diverso dall'indulgenza. Il giubileo straordinario che il Papa ha recentemente annunciato per celebrare i cinquant'anni del Concilio, sarà il giubileo della misericordia, con buona pace di coloro che collezionano indulgenze plenarie e non... A proposito di differenze tra misericordia e indulgenza, una di queste consiste nel fatto che la misericordia divina si manifesta immediatamente, in questa vita, con il perdono totale del peccato; l'indulgenza - quella concessa dalla Chiesa per le anime del purgatorio, o anche per colui che la chiede - si manifesta, o si manifesterà, nell'altra vita...È più che legittimo nutrire qualche perplessità, dal momento che i poteri della Chiesa terrena si estendono in questa vita, e non oltre...
Non vi sembri una ulteriore divagazione al Vangelo odierno: la parabola della vite e i tralci è una parabola, uno dei tanti modi di dire che Gesù usa per legare la sua Parola, la sua Vita alla nostra vita, qui e ora. La salvezza è una realtà presente, attuale, contemporanea all'uomo, contemporanea a noi; non soltanto qualcosa di futuro, (qualcosa) che ci attende dopo la morte, e, per giunta dal contenuto nient'affatto scontato...una sorpresa; speriamo sia una bella sorpresa; o, meglio, speriamo di non avere sorprese! In ultima analisi, la nostra salvezza ce la costruiamo qui, in quella che una famosa preghiera, dalla teologia quantomeno discutibile, definisce "valle di lacrime".
Come ho detto in apertura, la fede ci convince - deve convincerci! - che la vita cristiana è la sintesi del nostro agire con l'agire di Cristo; un agire, quello di Cristo, non più condizionato dalle coordinate spazio temporali, certo, ma assolutamente presente e operante in noi che crediamo.