Omelia (19-04-2015) |
don Alberto Brignoli |
Resurrezione, un cambio di mentalità Al termine delle prime due settimane del Tempo Pasquale, abbiamo già letto tutti gli episodi di apparizione di Gesù ai suoi discepoli dopo la resurrezione, parte durante i Vangeli domenicali, parte durante la liturgia settimanale. In tutti questi racconti, ci sono delle costanti, degli elementi che ritornano e che creano una sorta di "bagaglio" comune ai racconti di apparizione. C'è l'apparizione di Gesù, generalmente "in mezzo" ai discepoli (mai di fronte, o alla testa dei discepoli, ma "in mezzo", perché vuole condividere, essere come loro, creare relazione con loro, e non dipendenza da lui); a essa segue l'incapacità a riconoscerlo, o comunque un mix di sentimenti (tra gioia, paura e stupore) che non favorisce la necessaria lucidità per concettualizzare ciò che sta accadendo (al punto che addirittura, nel brano di oggi, Gesù viene scambiato per uno spirito, un fantasma, facendo così scomparire completamente la sua dimensione corporale); Gesù passa quindi all'azione, facendosi riconoscere attraverso gesti a loro familiare (lo spezzare il pane), oppure mostrando l'evidenza del suo ritorno in vita nella sua piena umanità (toccare il suo corpo, le sue mani e i suoi piedi, mangiare con i suoi discepoli...). Infine, lo stupore dei discepoli che lascia il posto alla gioia, incontenibile, entusiastica, che tuttavia non ha tempo di esprimersi in pienezza, sia per la nuova scomparsa del Signore dalla loro vista, sia per il comando da lui espresso (a volte a parole, a volte con ispirazioni interiori) di essere testimoni della sua resurrezione a tutti gli uomini. È ciò che vediamo molto bene nel brano di Vangelo che la liturgia di oggi ci propone, e che credo possa essere definito la miglior sintesi di tutti i racconti di apparizione, anche perché all'evangelista Luca serve per introdurre la seconda parte della sua opera, gli Atti degli Apostoli, pronta ad iniziare subito dopo il brano che abbiamo ascoltato, a cui segue il momento dell'ascesa di Gesù al cielo. Lo schema "apparizione - stupore/tremore - dimostrazione di Gesù - gioia - testimonianza" viene completato, in questo brano, da una piccola catechesi di Gesù ai suoi discepoli: una catechesi che viene descritta come kerygmatica, ovvero contenente l'annuncio, il kerygma della salvezza, e cioè che in Gesù si è compiuto ciò che i profeti dicevano di lui, e che ora il compito dei discepoli è fondamentalmente quello di portare pace annunciando a tutti la conversione e il perdono dei peccati. In questo annuncio, in questo kerygma, mi pare importante oggi sottolineare due aspetti, caratteristici proprio della narrazione di Luca: l'annuncio della conversione e la predicazione a tutti i popoli cominciando da Gerusalemme. Cosa significa questo annuncio, tutt'altro che banale? Cerchiamo di entrare nella comprensione del testo. La conversione, nel Vangelo e in particolare nel Vangelo di Luca, non significato tanto "smettere di commettere peccati", cosa peraltro improponibile e impensabile per qualsiasi uomo. Il termine "conversione" traduce un termine greco (metànoia) che significa "cambiamento di pensiero", "cambio di mentalità". "Convertirsi", allora, non significa smettere di peccare, ma cambiare mentalità, cambiare modo di vedere le cose, cambiare - soprattutto - il modo di vedere e di pensare Dio. Qual è il modo di pensare Dio che va cambiato, sulla base della predicazione e in modo più ampio della vicenda di Gesù Cristo? Non dimentichiamo un particolare: Gesù non è morto di morte naturale o in seguito a un incidente o a un attentato, come nella storia è successo più volte a personaggi famosi. Gesù è stato condannato a morte da un tribunale religioso (di comune accordo, basato sulla corruzione, con il tribunale civile), ovvero da autorità religiose che in nome di Dio hanno ritenuto la sua predicazione pericolosa e soprattutto "blasfema", dissacratrice. Gesù predicava un Dio estremamente diverso da quello dei capi religiosi del suo tempo. Il "Dio del Sinedrio", se vogliamo chiamarlo così, era un Dio legato al tempio e a tutto ciò che dalla "Teologia del Tempio" ne consegue: un Dio che va placato con i sacrifici, il Dio della Legge di Mosè, il Dio che si aspetta dall'uomo una perfezione basata sul compimento scrupoloso dei precetti e delle norme, il Dio retribuitore che dà agli uomini secondo le sue opere (per cui esalta e arricchisce i perfetti e condanna e impoverisce i peccatori), il Dio giudice che condanna, il Dio della religione più che della fede. Un modo di vedere e di pensare Dio che - lasciatemelo dire - è ancora lungi dall'essere superato anche nella nostra mentalità, perché un Dio così fa comodo, è forte e deciso, infonde certezze, dà sicurezza. Ebbene, la "conversione", il modo diverso di vedere e di pensare Dio che Gesù ha annunciato ci dice in maniera inequivocabile che quel Dio lì non c'è più. Fa parte di una mentalità vecchia e superata, appartiene a quell'uomo vecchio che (come dice Paolo nella lettera ai Romani) è stato crocifisso con lui, ed è morto. Il Cristo Risorto (e quindi immortale, eterno, definitivo) ci annuncia tutto un altro Dio, opposto al Dio del Sinedrio, ovvero un Dio della strada e delle case (e non del Tempio), un Dio delle opere di misericordia (e non dei sacrifici), un Dio che non si basa su una legge scritta su tavole di pietra, ma sull'unica legge dell'amore, scritta nel cuore dell'uomo; un Dio che non giudica l'uomo in base alle sue opere, e che soprattutto non ripaga l'uomo in base alla sua bontà (staremmo freschi!), ma che viene nel mondo per salvarlo con il perdono, la vicinanza, la solidarietà. In definitiva, un Dio che è Padre e che si preoccupa che i suoi figli lo amino come tale, e non lo servano come un padrone a cui stare sottomessi. È questo Dio, l'annuncio fondamentale della Pasqua così come Luca ce lo presenta nel Vangelo e negli Atti degli Apostoli. Di questo, i discepoli sono testimoni cominciando da Gerusalemme. Non è un particolare insignificante, questo. Gesù dice loro che conversione e perdono dei peccati sono da annunciare a tutti i popoli cominciando da Gerusalemme. Il concetto di "popoli" in Luca è reso con la parola "genti" (da cui i "gentili" spesso presente negli Atti): si tratta, cioè, dei popoli pagani che non conoscono Dio. E il primo di questi popoli "pagani", secondo la visione di Luca, è proprio...il popolo di Gerusalemme, la Città Santa, colei che pensava di custodire la vera immagine di Dio e che invece è la prima ad ignorarne l'esistenza. Tant'è vero che, come dice Paolo nella prima lettura, per questa ignoranza i capi della città mettono in croce il Figlio di Dio, confondendolo per un assassino ma soprattutto per un bestemmiatore, per uno che andava contro quel Dio delle certezze e del tempio, di cui sopra. Il "pagano", l'uomo senza Dio, l'avversario di Dio, non è principalmente chi vive lontano da lui, ma chi crede di averlo in pugno, di tenerlo con sé, perché abita nella sua casa, nella sua Città Santa, presso il suo tempio, mentre in realtà neppure lo conosce. Questa è l'immagine di Dio e di religione che la resurrezione di Gesù è venuta a distruggere. Non è un lavoro facile, e soprattutto, non è mai concluso: è ciò di cui il Signore Risorto, oggi, ci chiede di continuare ad essere testimoni. |