Omelia (19-04-2015) |
dom Luigi Gioia |
Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno Questo primo discorso di Pietro dopo la Pentecoste - che possiamo considerare la prima omelia della storia cristiana - è un passaggio nel quale siamo messi in maniera drammatica ed esplicita di fronte alla nostra responsabilità collettiva per la morte di Gesù. Certo, Pietro nel parlare si rivolge ai giudei del suo tempo, e probabilmente, tra le persone che lo ascoltavano, ce n'erano alcune che qualche settimana prima avevano gridato a Pilato: "Crocifiggilo, crocifiggilo!". Ma anche se non siamo gli attori storici dell'uccisione di Gesù, anche se non abbiamo contribuito direttamente alla sua crocefissione, siamo solidalmente responsabili con tutta l'umanità, con tutti gli uomini e le donne di tutti i tempi, della morte del Giusto, del Figlio di Dio. Se Gesù apparisse oggi di nuovo agiremmo anche noi come fecero i suoi contemporanei. Nella celebre leggenda del grande inquisitore ne I fratelli Karamazov, Dostoevskij dice che se Gesù ritornasse oggi sulla terra, di nuovo non sarebbe riconosciuto e di nuovo sarebbe crocifisso. Sì, ancora oggi la durezza del nostro cuore resta la stessa che incontrò Gesù tra i suoi contemporanei. La nostra resistenza all'azione di Dio nella nostra vita e nella storia resta la stessa. Se non percepiamo sempre questa resistenza è perché essa appare solo quando Dio appare. Solo la luce di Dio manifesta il nostro peccato. Quindi anche noi siamo solidalmente responsabili della morte di Gesù. Lo siamo perché faremmo la stessa cosa se Gesù apparisse, ma lo siamo anche perché ciò che ha ucciso Gesù è stata proprio questa opposizione all'azione e alla presenza di Dio nella storia, questa paura di ciò che Dio può cambiare nelle nostre vite: paura delle sue esigenze, paura soprattutto della sua novità, del modo nel quale si presenta a noi, che non corrisponde all'idea che noi ci facciamo di Dio. Le frasi che utilizza Pietro sono molto pesanti: Avete rinnegato il Santo e il Giusto; avete graziato un assassino; avete ucciso l'autore della vita. Se però Pietro insiste così pesantemente sulla gravità del peccato - il peccato in tutte le sue forme, il peccato di tutti i tempi, il nostro peccato, il peccato di ciascuno di noi- è per poter proclamare in maniera ancora più eloquente la grandezza del perdono di Dio, la grandezza del cambiamento che è stato introdotto nella storia: Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi. Ma Dio ha così compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo doveva soffrire. Neanche il nostro peccato sfugge all'azione e alla provvidenza di Dio. Non sfugge all'azione e alla provvidenza di Dio neanche la nostra resistenza al suo intervento nelle nostre vite. Non possiamo ostacolare l'azione di Dio. Nessun peccato è stato più estremo di quello che è consistito non solo nel rifiutare una parola di Dio, come nel caso della predicazione dei profeti, non solo nel disubbidire a un ordine di Dio, come era successo costantemente nella storia di Israele, ma addirittura nell'uccidere il figlio che Dio aveva mandato - nell'uccidere - come dice Paolo - "l'autore della vita". Nessun peccato può essere concepito di più grave, e soprattutto nessun rifiuto dell'azione e dell'intervento di Dio nella nostra vita e nella nostra storia può essere considerato più radicale. Ma il paradosso è che un rifiuto così totale era necessario proprio per mostrare fino a che punto arrivasse l'onnipotenza di Dio. La sua uccisione, il rifiuto totale del suo intervento nella storia e nelle nostre vite è stata per Dio l'occasione di manifestare nel modo più straordinario possibile il suo amore e soprattutto la sua determinazione, al di là e contro ogni resistenza umana, di salvare l'uomo. Anche il rifiuto più totale di Dio da parte dell'uomo non dissuade Dio. Non solo, ma proprio il rifiuto più totale di Dio conduce alla salvezza più efficace. Insistendo così fortemente sul nostro peccato, quindi, è un messaggio di speranza quello che Pietro vuole darci. Il messaggio di speranza è che non c'è peccato, per quanto grave, per quanto totale, che possa resistere, che possa sorpassare la grazia ancora più grande che Dio mette a nostra disposizione, che Dio dispiega nella resurrezione di Cristo. Resurrezione di Cristo vuol dire proprio questo: grazia più potente, più grande del nostro peccato. E' quello che conferma Giovanni nella sua lettera quando dice: Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito (un consolatore, un avvocato) presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È' lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo. Colui che intercede per noi è proprio colui che noi abbiamo ucciso e rifiutato. Ma lui è vivo, è ritornato alla vita, per diffondere questa vita più grande e più forte della morte. E la conseguenza di tutto questo è che Pietro può proclamare: Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati. Convertitevi vuol dire - lo sappiamo - "rigiratevi, cambiate di direzione, cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati". Risurrezione vuol dire dunque questo: possibilità di cambiare vita. Cambiare vita adesso è possibile, perché la potenza di Dio vince sulla nostra ignoranza. La potenza di Dio vince sul nostro rifiuto sulla sua azione che in fondo è una incapacità di credere alla grandezza del suo amore per noi. Una incapacità di percepire Dio come colui che vuole la nostra salvezza. E' possibile adesso cambiare vita, perché la colpevolezza che ci opprime non è più invincibile, perché il peccato che ci conduce lontano da Dio non è più un ostacolo. Abbiamo un Paraclito, un difensore, un avvocato, un consolatore presso il Padre, abbiamo lo Spirito Santo, abbiamo il Risorto, che è con noi. Cambiare vita, adesso, è possibile: questo, Gesù lo proclama quando appare in mezzo ai suoi discepoli, questi discepoli increduli, che non vogliono credere alla sua resurrezione. Il rifiuto di credere alla resurrezione di Gesù è un rifiuto di credere che sia veramente possibile cambiare le nostre vite, che sia veramente possibile che nella storia sia stata introdotta una novità radicale. Siamo tutti un po' fatalisti, un po' cinici, un po' disillusi - un po' o forse molto. Vedendo il ripetersi ciclico di tutte le ingiustizie, il ripetersi di tutti i mali nelle nostre vite e nelle nostre società, siamo condotti a credere che non sia veramente possibile il cambiamento. Questo è il rifiuto di credere alla risurrezione del Signore! Quando rifiutiamo di credere che la potenza della grazia, malgrado tutta l'evidenza contraria, sia incapace di cambiare la storia, siamo come questi discepoli che in presenza di Gesù - pur vedendolo, pur toccandolo, pur vedendolo mangiare davanti a loro - ancora non vogliono credere che la morte non sia l'ultima parola, che lui sia veramente vivo, vivo in modo nuovo. Non vogliono credere che colui che era stato così barbaramente soppresso, che avevano visto crocifisso, del quale avevano visto il corpo esanime, che era stato messo in un sepolcro, adesso di nuovo è ritornato alla vita. Ed è facendosi vedere, facendosi toccare, conducendoci piano piano a credere in questa novità, nella possibilità che ha Dio di introdurre questa novità nella storia, che anche Gesù (come Pietro, come Giovanni) proclama la possibilità - non soltanto la necessità, ma la possibilità - della conversione: Convertitevi! Nel nome di Gesù saranno predicati a tutti i popoli la conversione ed il perdono di tutti i peccati. La conversione è dunque possibile. Lo possiamo e lo dobbiamo credere in virtù della nostra fede nella resurrezione di Cristo. Certo, se è vero che, malgrado i nostri propositi di cambiamento di vita, continuiamo a sentire tutta la pesantezza che caratterizza la nostra esistenza e tutta la nostra difficoltà a resistere al peccato, abbiamo questo messaggio di speranza che ci viene dal passaggio letto pocanzi tratto dalla prima lettera di san Giovanni. E' vero, ci è stato chiesto di non peccare, ma Giovanni aggiunge che se qualcuno pecca, abbiamo un Paraclito presso il Padre, cioè un avvocato di prima classe, possiamo dire: abbiamo Gesù stesso che ci ha amati, ha dato la sua vita per noi e costantemente intercede per noi. La nostra salvezza si manifesta nel cambiamento della nostra vita - ma tale cambiamento è possibile solo a condizione di riceverlo costantemente da Dio. Salvezza e cambiamento non eliminano completamente il peccato dalle nostre vite, ma ci permettono di vincerlo, facendolo costantemente perdonare, cancellare da Dio. Più riconosciamo il nostro peccato, più questo peccato è perdonato, e più ritroviamo la libertà di poter avanzare in una vita nuova, in una vita diversa. Riflettiamo, meditiamo su questa equazione: credere nella resurrezione è credere nella possibilità di cambiare le nostre vite. Chiediamo al Signore questa grazia: "Signore, donami la grazia della conversione! Introduci questo fermento di novità nella mia vita. Aprimi gli occhi. Conducimi a percorrere, nella libertà dell'amore, le tue vie". |