Omelia (26-04-2015)
mons. Gianfranco Poma
Il buon pastore si spoglia della sua vita per le pecore

"Io sono il pastore, quello buono: il pastore, quello buono, si spoglia della propria vita per le pecore". Inizia così il piccolo brano del Vangelo di Giovanni (10,11-18) che leggiamo nella quarta domenica di Pasqua e che ci guida nel nostro incontro con Gesù risorto. "Il pastore, quello buono, si spoglia della propria vita per le pecore": questa espressione "spogliarsi della vita..." (il verbo greco significa anche "donare", "abbandonare", "deporre"...) ritorna cinque volte in questi pochi versetti per esprimere evidentemente tutto il senso dell'esistenza di Gesù e della sua missione. Certamente allude alla Croce, ma riguarda ogni attimo della sua vita: tutto di lui è un dono, uno spogliarsi di sé per fare della sua, una vita "deposta" per le pecore. Per questo può dire: "Io sono il pastore, quello buono", "bello", "vero". E la sua non è una pretesa arrogante, ma è l'espressione dell'offerta vera, umile e infinita, dell'Amore all'umanità in continua ricerca: "Io sono il pastore, quello buono". Già nell'A.T. Dio si è presentato come il pastore che guida, sostiene il popolo nel suo cammino; adesso Gesù, spogliato di tutto, offre se stesso perché lo vedano, lo tocchino, lo sentano come l' "Io sono" il pastore, quello buono del quale sperimentano l'Amore. Certo l'offerta della vita di Gesù non è un'immagine oleografica sentimentale: è riassunta nell'icona drammatica della Croce. Il pastore, quello buono, che si spoglia della propria vita per le pecore, non può non polemizzare con coloro che si presentano come pastori, ma non lo sono, perché in realtà a loro non importa il bene delle pecore ma solo il proprio interesse, non hanno nessuna relazione personale con il gregge, non sono disposti a rischiare la vita ma, quando il gregge è in pericolo, lo abbandonano e lasciano che le pecore si perdano.
"Io sono il pastore, quello buono", ripete Gesù e sottolinea che ne è la prova l'esperienza della relazione vicendevole tra lui e le pecore. "Conosco le mie e le mie conoscono me": non si tratta di astratta conoscenza teologica, ma di relazione intima, personale. Si tratta di "conoscere", "sperimentare" l'Amore come elemento essenziale costitutivo dell'esistenza umana. Si tratta di entrare nella relazione d'Amore che lui, il pastore buono, fa gustare alle pecore, che è così profonda, così intima perché è quella che il Padre fa conoscere al Figlio: a noi, egli parla, adesso, e ci introduce nell'intimità della sua esperienza di relazione filiale con il Padre, la fonte dell'Amore che diventa la sua vita, che non può trattenere per sé, ma che egli offre come pastore per le pecore. E ci parla del dono di sé fino alla Croce, estremo segno della disponibilità a lasciare che la sua vita si realizzi tutta nella relazione unica con Dio come un'onda incontenibile che dal Padre arriva al Figlio e attraverso Lui giunge a tutti gli uomini, al mondo intero: non ci sono confini, perimetri definiti che possano trattenere l'Amore. Tutto è Amore: esperienza, conoscenza, gioia, vita che dal Padre, attraverso l'umanità spogliata del Figlio, è offerta al mondo, perché si compia il suo progetto di Amore. Lui, il Figlio che si spoglia della sua vita per offrirla sta al centro del progetto del Padre, sta la Croce, lo scandalo della Croce: ma l'Amore cos'è? Perché al centro di un progetto infinito d'Amore sta lo scandalo della Croce? Tutto è affidato a noi, alla nostra fede, al nostro abbandono in Lui, perché entriamo in relazione con Lui e dall'interno dell'esperienza di una personale, nuova intimità possiamo cominciare a capire, a conoscerlo e a lasciarci conoscere da Lui e a gustare la vita che egli ci dona: allora conosciamo la Croce, come la via attraverso la quale si realizza la relazione d'Amore tra Gesù e Dio, espressione della più piena libertà umana che lascia spazio a un Dio non temuto per la sua onnipotenza ma accolto come Padre infinitamente amante; allora conosciamo che la Croce è inseparabile dalla risurrezione, perché l'Amore di Dio diventa infinito quando discende per condividere, com-patire l'estrema debolezza umana, nel momento in cui si annienta morendo, diventa infinito risorgendo. "Per questo il Padre mi ama: perché io dono la mia vita e di nuovo l'accolgo". Gesù, la sua Croce, è la porta attraverso la quale l'Amore infinito di Dio ci raggiunge e ci fa vivere. Gesù è il pastore, quello buono, che si spoglia di tutto per farci vivere della vita infinita di Dio: a noi è offerto questo dono perché lo gustiamo e a nostra volta diventiamo la via attraverso la quale oggi l'Amore di Dio raggiunge il mondo.