Omelia (03-10-2013)
Paolo Curtaz
Commento su Lc 10,1-12

Per la seconda volta Luca parla di missione e questa volta a proposito di un gruppo numeroso di discepoli che richiamano i settanta anziani chiamati a sostenere Mosè nella gestione della giustizia del popolo di Israele. Come a dire che la missione non è affare di discepoli specializzati, non richiede un patentino speciale ma è la dimensione abituale di ogni discepolo. O siamo missionari là dove viviamo, cioè capaci, con la nostra vita, di dire Cristo, o non siamo Chiesa. Come quando ci innamoriamo e tutti si accorgono dello stato euforico che stiamo vivendo, così il discepolo che vive il vangelo lo comunica prima con la sua quotidianità che con le parole. E Gesù spiega il modo di annunciare: non da navigatori solitari ma in coppia, cioè in comunione perché la Chiesa non è composta da leader carismatici ma da fratelli, senza grandi mezzi o strutture (anche se la storia ce ne ha consegnati tanti occorre avere il coraggio di sbarazzarsi di ciò che non è utile al Regno!), come bene ci sta ricordando Papa Francesco, condividendo fino in fondo le gioie e le speranze di coloro che evangelizziamo. Il volto di Chiesa che dobbiamo ancora completare parte proprio dalla consapevolezza che dobbiamo tornare a dire il Cristo a coloro che pensano di conoscerlo!