Omelia (10-10-2013)
Paolo Curtaz
Commento su Lc 11,5-13

Dopo avere insegnato ai discepoli quali parole usare per pregare, il Maestro ora insegna con che spirito farlo. La splendida parabola dell'amico importuno che bussa alla porta del vicino per chiedere del pane per gli ospiti inattesi ci dice che la preghiera è una questione di insistenza e di abitudine in senso positivo. Non di insistenza nel senso che si tratta di rompere le scatole a Dio finché non ci esaudisca, come solo certi bambini sanno fare con i propri genitori, ma insistenza verso noi stessi, mettendo la preghiera al centro della nostra vita interiore, coltivandola quotidianamente, anche solo per pochi minuti, per formarci ad una sana abitudine (l'abitudine viene da habitus, un modo di essere, non solo esteriore ma anche relativo al carattere, all'atteggiamento interiore, alla disposizione naturale dell'animo). La nostra preghiera non deve essere estemporanea, rarefatta, ma rivestirci e animarci come qualcosa di essenziale alla nostra vita. In aggiunta alla preghiera del Padre nostro, non importa quali siano le altre parole che usiamo: la preghiera può essere una lode, una richiesta, un'intercessione... l'essenziale è che ci rivolgiamo ad un padre che già ci conosce e sa bene di cosa abbiamo bisogno e che sa se ciò che stiamo chiedendo è per il nostro bene.