Omelia (19-11-2013)
Paolo Curtaz
Commento su Lc 19,1-10

Luca esagera, come sempre. Pone al cuore del suo vangelo la conversione impossibile, il discepolato folle, la chiamata dell'impresentabile. Gesù salva colui che nessuno voleva salvare, che nessuno poteva salvare, che nessuno avrebbe saputo come salvare. Eccetto Dio. Accade, certo che accade. Accade che Zaccheo, capo dei peccatori, curioso, salga su un albero per vedere senza essere visto. E Gesù lo stana come si stana un predatore nascosto. Non si aspettava nessuna salvezza, Zaccheo, abituato agli sguardi gonfi di odio dei suoi concittadini, impassibile davanti agli sputi che i farisei gli rivolgevano. Impassibile e indurito finché non ha incontrato l'unico sguardo che non lo giudicava, dimostrandogli amore. Scende Zaccheo, scende in fretta perché il profeta vuole andare a casa sua. Senza condizioni. Senza giudizi. Senza moralismi. Scende perché si sente amato, accoglie perché si sente accolto. E si scava la fossa con le sue mani: andrà in rovina restituendo tutto ciò che ha rubato. Ma che gli importa, ora? Così è quel folle di Dio: perdona prima che ci convertiamo. Anzi: il suo perdono suscita la nostra conversione, la suscita, la fa fiorire.