Omelia (27-12-2013)
Paolo Curtaz
Commento su Gv 20,2-8

Ieri Stefano, oggi l'evangelista Giovanni, colui che più di ogni altro è volato alto, ha saputo fissare lo sguardo verso il sole, come, secondo la leggenda, sanno fare le aquile. Davanti all'apparente normalità della nascita di un primogenito di una coppia di giovani sposi, Giovanni vede e testimonia l'inaudito di Dio: il Verbo di Dio ha piantato la tenda in mezzo a noi. Certo l'evangelista ha fatto un lungo percorso e solo alla luce della Pasqua possiamo capire davvero chi sia quel bambino. Perciò in questo clima natalizio leggiamo il vangelo della resurrezione, per legare i misteri della fede. Il bambino che veneriamo è già il crocefisso e il risorto! Giovanni ci insegna a superare l'emotività per andare all'essenziale, per diventare finalmente credenti. Gesù bambino non intenerisce come fanno i neonati ma ci obbliga a chiederci se davvero crediamo un Dio che si fa uomo, che diventa uno di noi. Perché è qui il cuore del nostro stupore: l'immensità di Dio si racchiude in una culla e la sua Parola si comprime nel vagito di un neonato affamato. Roba da far tremare i polsi. O da spalancare il cuore alla fede e allo stupore.