Omelia (03-05-2015) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Innestati o recisi? Siamo ancora nel tempo di Pasqua, ma già dalla settimana scorsa i temi liturgici di riflessione sono mutati. Ci si è spostati in fatti dalla centralità del Cristo Risorto alla visione del Buon Pastore e adesso anche alla tematica non indifferente della "vite" e dei "tralci". Evidentemente siamo indotti a considerare che nel Cristo Risorto, che è Via, Verità e Vita, occorre trovare il criterio nonché il fondamento della vita. La resurrezione del Signore non si esaurisce al fenomeno della tomba vuota e delle apparizioni, ma ci interessa ciascuno direttamente e deve avere la sua estensione nella nostra stessa vita. Essa non può escludere nessuna delle dimensioni del vissuto e deve anzi riguardare la realtà della nostra vita di tutti i giorni. Ecco che allora il Signore Risorto diventa per noi il Maestro, la Guida nonché l'orientamento effettivo: il Pastore. Ecco che Egli diventa per noi ciò che la vite è per i tralci. Le radici di una pianta assorbono l'acqua e i sali minerali per alimentare tutto l'organismo vegetale. Acqua e Sali minerali formano la linfa vitale, senza la quale la pianta non può sopravvivere. La clorofilla poi, assorbendo la luce, produce il colore verde alle foglie, favorendo l'ossigeno e la luce solare. Se la pianta è estirpata dalle radici, cessa quindi di ricevere la linfa. Come pure, se una foglia o un ramo o una specifica parte di essa viene asportata, manca di tutti questi elementi essenziali (acqua, minerali, luce) e non può più ricevere pertanto la linfa vitale. Reciso da una pianta, un ramo cessa quindi di vivere. Tale è Gesù Cristo in relazione ad ogni singolo discepolo: egli è la vite della cui linfa dipendono tutte le altre parti corporee della pianta, in modo tale che ogni tralcio non può sussistere senza di essa. La vite senza i tralci può certamente continuare a vivere; ma un solo tralcio distaccato dalla vite non ha più sussistenza. Perdendo la linfa vitale è destinato a perire inesorabilmente. Così il cristiano e, prima ancora di questi, l'uomo di tutti i tempi: disgiunto da Dio, lontano dal suo amore e dalla sua grazia, finisce con l'illudersi di vivere per realizzare in se stesso la morte continua .La realizzazione dell'uomo dipende invece dalla radicalità con cui egli sceglie Cristo Figlio di Dio, dalla volontà con cui sceglie di lui liberamente e senza rimpianti e dalla perseveranza con cui mantiene inalterata codesta sua scelta. Proprio del cristiano è fare di Dio la propria vita, orientandosi alla sequela di colui che, quale Cristo morto e risorto, è l"autore della vita"."Dice Paolo: "Per me il vivere è Cristo e il morire è un guadagno"(Fil 1, 21) e con questa espressione si sente di appartenere al suo Signore e di farsi latore del suo messaggio, non prima di aver sperimentato egli stesso che Cristo è potenza di Dio. Parimenti è indispensabile che anche da parte nostra vi sia fedeltà e radicalità a Cristo nella Chiesa. A differenza dei tralci di vite, noi siamo in grado di scegliere il nostro destino, se restare innestati o venire recisi. Sempre a differenza da certe piante, il cristiano ha la capacità intrinseca di produrre i frutti; ha la possibilità di apportare ad altri la bellezza vitale del risorto e non può esimersi dal testimoniare attivamente codesta sua appartenenza. In forza del suo incontro personale con il Cristo risorto che stava perseguitando nella persona di tanti suoi discepoli, Paolo sente di appartenere a Cristo indiscutibilmente e senza riserve e manifesta tutto il suo entusiasmo e la sua gioia di vivere radicato nel Signore che lo ha sedotto e condotto. Questo Cristo Figlio di Dio che poco prima egli perseguitava strenuamente, adesso è diventato suo criterio di comportamento e motivo di vita e garanzia di salvezza. L'attività missionaria di Paolo consisterà infatti nei lunghi viaggi di predicazione e di testimonianza del Risorto, nella fondazione di nuove comunità, nella visita di gruppi cristiano già esistenti. Cristo sarà per Paolo appunto il vivere, cioè lo sprone e l'incentivo e mai ometterà ogni minimo sforzo finalizzato alla sequela e alla testimonianza dello stesso Signore. Essere innestati in Cristo comporta vivere di lui, ma anche usufruire delle garanzie della sua stessa gloria e delle promesse di cui da sempre siamo destinatari perché in Lui si riscopre un rapporto di familiarità e di donazione reciproca immediata che conduce alla scoperta della bellezza nel fare ogni cosa che "a lui piaccia", ponendoci concretamente nelle sue vie e adoperandoci al meglio per la sua testimonianza attiva attraverso opere concrete di amore e di solidarietà. E per essere traslci innestati e non recisi. |