Omelia (26-04-2015) |
mons. Antonio Riboldi |
Io sono il Buon Pastore Nell'intensità del Tempo pasquale, in cui la nostra fede contempla il Maestro risorto e vivo, la Parola di Dio, in questa domenica, ci presenta Gesù, che continua ad assicurare la Sua presenza tra di noi, ci conosce nel profondo, ha cura di noi, è nostra guida: è il Buon Pastore. "Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore... conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore " (Gv. 10, 11-18) Gesù, Figlio di Dio, avrebbe potuto definire la sua guida con accenti di potenza, ossia quelle modalità di cui si servono gli uomini per governare. Ma in Gesù appare l'atteggiamento del servizio, segno di amore pronto a dare la vita, che mette in primo piano ‘le sue pecore', noi, mentre tra gli uomini di potere appare tante volte solo l'arroganza o l'opportunismo, che troppe volte tratta gli uomini come ‘merce' e non come persone. Gesù radica il rapporto, tra noi e Lui, sull'amore vicendevole: Lui nella veste di guida umile, ma ferma, - come è quella del pastore, che ama le ‘sue pecore', a differenza dei mercenari, per i quali non importa la sorte delle pecore! - Noi docili e fragili, come le pecore che hanno bisogno di una guida e di una cura totale. Ognuno di noi deve quindi oggi porsi una domanda essenziale: quale ‘pecora' del gregge sono? Sono la pecora ‘perduta e ritrovata' o rimango ‘smarrita'? Sono la pecora che si lascia condurre piano piano, per ritrovare il Lui riposo, sono ‘ferita o malata' e mi lascio da Lui fasciare o curare? Ma oggi viene messa in luce anche la figura dei pastori, il papa, i vescovi e i sacerdoti, a cui il Maestro ha affidato il Suo gregge. Nessuno di noi, che siamo ‘pastori', siamo tali per nostra scelta, ma è Dio che, guardando le masse ‘ha compassione' e così, pur conoscendo la nostra debolezza, per pura Sua misericordia e bontà, ci sceglie ad uno ad uno. Avevo solo dodici anni quando, a settembre, nella festa dell'Addolorata, papà e mamma mi accompagnarono nel piccolo seminario dei Padri Rosminiani a Pusiano. Era il primo impatto con la vocazione. Credo che questa ebbe le sue radici nella grande fede e religione vissuta all'interno della mia famiglia. Ma fu dal ripetuto e convinto invito del mio vescovo, il card. Schuster - ‘Non ti piacerebbe essere sacerdote?' - che nacque l'inquietudine. Mi chiedevo: ‘Se è vero che Dio mi vuole per Sé, come dirGli di no? Ma come faccio ad essere certo?'. E per due anni i miei pensieri ebbero il loro centro in questa domanda, che attendeva una risposta. Mi furono di aiuto mamma e il parroco. Alla fine mi lasciai prendere per mano da Dio e iniziò il lungo cammino. Era l'anno 1935. Ricordo il giorno dell'ordinazione sacerdotale a Novara. Eravamo nella Cattedrale, quel 29 giugno 1951, e io mi ripetevo: ‘Ora non sono più io...sono Gesù per e tra la gente'. E mi rendevo conto, per Sua Grazia, già allora, che, se ‘ero Cristo', dovevo esserlo non solo nell'amministrazione dei Sacramenti, ma in tutto, come Gesù tra la gente. Il Maestro mi fece il dono di comprendere che per ‘essere Lui tra la gente', quindi pastore credibile e buono, occorreva prima di tutto che io divenissi buono, gettando alle ortiche ogni forma che appartenesse al mondo più che a Cristo. La gente ieri, oggi, sempre, esige di vedere nel sacerdote l'Amore di Dio vissuto e donato...non solo sull'altare, ma sempre e dovunque! E' l'invito pressante di Papa Francesco, rivolto ai sacerdoti: "Questo vi chiedo: di essere pastori con l'odore delle pecore, pastori in mezzo al proprio gregge, e pescatori di uomini". E il beato e carissimo Paolo VI affermava: "Il dono totale della propria vita apre davanti al sacerdote generoso, una nuova meraviglia, il panorama dell'umanità.... Sappiate ascoltare il gemito del povero, la voce candida del bambino, il grido pensoso della gioventù, il lamento del lavoratore affaticato, il sospiro del sofferente e la critica del pensatore. Non abbiate mai paura! Ha ripetuto il Signore. Il Signore è con voi." (beato Paolo VI ai sacerdoti - 29 giugno 1977) Ho avuto una vita piena ed intensa, costellata di gioie e difficoltà, di minacce e di ‘applausi' - a cui non ho mai badato più di tanto - perché la mia ‘forza' è sempre stata nel credere che in ogni situazione non ero io ad operare, ma Lui. Lui l'aveva scelta per me e mi guidava. Ora mi resta solo di dire che è bello, infinitamente bello, ammirare come Dio sa operare, se ci si abbandona nelle sue mani. Se Lui chiama, se gli si dice di sì, in totalità, Lui e solo Lui opera cose, che la mente dell'uomo forse sogna, ma senza riuscire, da solo, a realizzarle. L'abbandono fiducioso in Lui è necessario, non solo per noi pastori, ma nell'impegno di ogni credente. Ha detto Papa Francesco: Il vero pastore, il vero cristiano non ha paura di sporcarsi le mani. Va dove deve andare. Rischia la sua vita, rischia la sua fama, rischia di perdere la sua comodità, il suo status, anche perdere nella carriera, ma è buon pastore. Anche i cristiani devono essere così. E' tanto facile condannare gli altri, è tanto facile, ma non è cristiano. Non è da figli di Dio. Il Figlio di Dio va al limite, dà la vita, come Gesù, per gli altri. Non può essere tranquillo, custodendo se stesso: la sua comodità, la sua fama, la sua tranquillità. Ricordatevi questo: pastori a metà cammino no, mai! Cristiani a metà cammino, mai! Il buon pastore, il buon cristiano sempre è in uscita da se stesso, è in uscita verso Dio, nella preghiera, nell'adorazione; è in uscita verso gli altri. Camminando insieme, con zelo ardente, suggerirei che in tutte le famiglie, vera scuola di vocazione, si amassero i sacerdoti e la bellezza della loro chiamata, come era nella mia famiglia. E oggi, voi che mi leggete, pregate per me, perché sia testimone della Gioia che si prova seguendo Gesù, sempre. È un dono! È bello! |