Omelia (03-05-2015)
dom Luigi Gioia
Questo è il suo comandamento: che crediamo e amiamo

Figlioli, non amiamo a parole, né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. Non ci si può ripetere questa frase di Giovanni, non ci si può confrontare con essa senza sentire fino a che punto non vi corrispondiamo, fino a che punto vi è in noi una resistenza, un paura. Amare, non a parole, né con la lingua, ma con i fatti e nella verità, è una grande fatica, è qualcosa che non possiamo mai sentire di aver conquistato, è qualcosa che costantemente va ri-conquistato. Ci sono questi egoismi in noi, questi rifiuti istintivi, viscerali, invincibili, che non ci lasciano la libertà di amare spontaneamente, continuamente, liberamente. Spesso ci sono delle paure, dei timori, ci sono le incapacità di gestire relazioni diventate molto dolorose e anche lì non riusciamo ad amare, a perdonare. Soprattutto - bisogna riconoscerlo - spesso c'è la pigrizia, perché l'amore non ci lascia tranquilli, perché l'amore ci scomoda, perché le esigenze dell'amore si scontrano costantemente con i nostri pregiudizi, siano essi sociali o culturali. L'amore vorrebbe condurci a sorpassarli, ma sostenere costantemente una tale fatica è difficile, è penoso. Quindi di fronte a questo comando: Non amiamo a parole, né con la lingua, ma con i fatti e nella verità, saremo sempre in difetto. Mai potremmo dire: "Ecco, finalmente adesso lo osservo!". Certo dobbiamo provare, anzi, possiamo dire - grazie a Dio, grazie allo spirito che abbiamo ricevuto - abbiamo ricevuto la capacità, la libertà di provare. La libertà che ci è data come cristiani è che possiamo provare ad amarci. Ma alla fine anche i grandi santi, anzi soprattutto i grandi santi, sono stati sommersi dalla consapevolezza di quanto poco abbiano amato. Hanno certo amato, ma costantemente affermano: avrei potuto amare di più. Sono coscienti delle loro omissioni, dei loro compromessi, dei loro egoismi, delle loro paure.
Di fronte a questa presa di coscienza, c'è una grande, pericolosa tentazione alla quale dobbiamo resistere con tutte le nostre forze, quella di mentire al nostro cuore. Ancora Giovanni, proprio dopo averci dato questo comando che riassume in sé l'essenza della vita cristiana, ci rivela due atteggiamenti spirituali sbagliati, due deviazioni spirituali nei confronti dell'amore. Ma, nello stesso tempo, ci svela anche quali siano le due terapie per affrontarli. Le due deviazioni spirituali nei confronti del comando dell'amore sono la prima che il nostro cuore ci rimprovera e la seconda che il nostro cuore non ci rimprovera nulla, la prima è l'autopunizione, la seconda è l'autogiustificazione. Il primo atteggiamento - Il nostro cuore ci rimprovera, cioè l'autopunizione - è sbagliato perché ogni forma di colpevolizzazione è una menzogna. Non vi è nulla di più contrario del pentimento autentico della colpevolizzazione. Possiamo essere tentati di scambiare la colpevolezza, la sfiducia in sé per pentimento, ma poi vediamo che non corrispondono ai criteri di discernimento che ci dà la Parola di Dio. Sappiamo che un atteggiamento interiore, compreso il pentimento, è un dono di Dio solo se è accompagnato dai frutti dello Spirito Santo enumerati da Galati: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza! Essi valgono prima di tutto nei nostri confronti, illustrano cosa voglia dire amare se stessi in Dio: non condannarsi, non giudicarsi, non abbattersi, non scoraggiarsi, ma volersi bene - la benevolenza -, essere pazienti con se stessi - la pazienza -, restare nella gioia, nella pace che infonde nel nostro cuore la consapevolezza di essere amati e perdonati dal Padre. Se il nostro cuore ci accusa c'è disistima di noi, scrupolo, colpevolezza e questi atteggiamenti ci rendono amari, ansiosi, ci chiudono in noi stessi. Queste forme di rimprovero che portiamo nel nostro cuore sono semplicemente l'eco di rimproveri che ci sono stati rivolti e che abbiamo interiorizzato e sono l'esatto contrario dei doni dello spirito: invece della gioia la tristezza, invece della pace il turbamento, invece della pazienza l'esasperazione, invece della benevolenza l'autopunizione. Scrupolo e colpevolezza sono pericolosi perché siamo tentati di appoggiarci su di essi pensando che ci stimoleranno a correggerci, mentre in realtà ci chiudono in noi stessi, ci opprimono, lentamente ci uccidono. La colpevolezza è amara, mentre il pentimento autentico è dolce. La colpevolezza, ci opprime e ci soffoca, mentre il pentimento autentico, nel momento stesso in cui riconosciamo il nostro peccato, ci libera e ci fa respirare. Una delle immagini più eloquenti che esprime la differenza tra la colpevolezza e il pentimento è la seguente: la colpevolezza è ciò che avviene quando mi guardo allo specchio e non mi piaccio, e quindi in fondo è una forma di egoismo, di narcisismo. Il pentimento, invece, è ciò che appare quando finalmente distolgo lo sguardo da me stesso e guardo Dio, incrocio gli occhi del Padre. Ce lo rivela ancora Giovanni quando ci offre la terapia più efficace contro la colpevolezza in una delle frasi più belle del nuovo testamento: Anche se il nostro cuore ci dovesse rimproverare, ricordiamoci, Dio è più grande del nostro cuore. Ecco la terapia! Per vincere il male che c'è in noi, per vincere l'egoismo, la pigrizia che ci impediscono di amare, la terapia non è l'auto-punizione, ma esporci ancora più fiduciosamente al sole dell'amore di Dio, lasciarci perdonare dal Padre non una volta, non dieci volte, non cento volte, ma settanta volte sette, vale a dire sempre! Ciò che ci guarisce non è l'autopunizione. Ciò che ci guarisce, è lasciarci amare da Dio, è lasciarci perdonare da lui. E' soprattutto lasciarci conoscere da lui, cioè conoscere noi stessi in lui! E' quanto esprime Pietro in quest'altra bellissima frase alla fine del vangelo di Giovanni: Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo. Cosa vuol dire questa frase? "Signore, tu sai tutto. Tu sai che ti ho tradito, ti ho rinnegato tre volte. Tu sai quanto sono incostante. Tu sai quanto vorrei amarti e non ci riesco. Non posso nasconderti niente. Tu sai tutto, però, e tu sai che io ti amo". Tu sai: questo sapere del Signore è un sapere paterno e materno, è un sapere che non ci condanna, non ci opprime, ma è la conoscenza di chi ci ama e ci conosce, certo, deboli, ma ci ama e con il suo stesso amore vince la nostra debolezza. Ma passiamo alla seconda deviazione denunciata da Giovanni che, paradossalmente, consiste proprio nell'atteggiamento opposto: Il nostro cuore non ci rimprovera nulla, cioè l'autogiustificazione. Per capire questo paradosso occorre distinguere la consapevolezza del proprio peccato dalla colpevolezza di cui abbiamo parlato sopra. La consapevolezza è diversa, perché è non è amara, non è cupa, non è triste, ma è tutta nutrita dalla fede. E' solo grazie alla fede che sappiamo di essere peccatori, di fare costantemente il male che non vorremmo e di non riuscire a fare il bene che vorremmo, come ci dice Paolo nella lettera ai Romani. Se diciamo a noi stessi "Non faccio male a nessuno", vuol dire che ci stiamo misurando non con l'esigenza del vangelo, ma con una nozione di equità tutta umana che fabbrichiamo da noi stessi per giustificare i nostri rifiuti di amare, i nostri egoismi, le nostre paure, le nostre pigrizie.
Si tratta dell'auto-giustificazione, del mettere la nostra fiducia solo in noi stessi, del mentire a noi stessi: se posso dire a me stesso che sono buono, se posso convincere me stesso di essere buono, allora sono buono. La realtà, lo sappiamo bene, è un po' diversa... Ma anche nei confronti di questa seconda deviazione spirituale Giovanni ci offre una terapia quando dice: Abbiate fiducia in Dio. Dice infatti: Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio! Possiamo non aver paura di riconoscerci deboli, incapaci, anche egoisti o pigri - possiamo non aver paura di esserne consapevoli con lucidità, con serenità, con coraggio, solo se non ci guardiamo allo specchio, ma guardiamo Dio, solo se mettiamo la nostra fiducia non in noi stessi, ma in Dio, vale a dire nel suo amore, nel suo perdono, nella sua grazia. "Io sono buono, non perché posso convincermi di essere buono, ma perché so che il Signore mi rende buono, costantemente, con il suo perdono". "Io sono giusto non perché non faccio mai nessun peccato, o perché posso convincermi di non commettere mai nessun peccato. Sono giusto, realmente giusto, perché il Signore costantemente - non una volta per tutte, ma costantemente - mi perdona, perché costantemente mendico il suo perdono, costantemente mi giustifica, mi rende giusto". Qui raggiungiamo allora l'appello di Gesù nel vangelo di oggi: Rimanete in me e io in voi - dice Gesù - rimanete in me! Come facciamo a rimanere in Gesù? Come facciamo a sentire che Dio rimane in noi? Non perché ci sentiamo giusti, lo abbiamo detto. Non perché compiamo delle buone azioni. Ne facciamo, certo. Amiamo, certo, in verità, almeno ogni tanto. Ma non è questo il criterio per sapere che Dio rimane in noi. Questo non è il criterio che ci dà Giovanni il quale invece, alla fine della sua lettera, dice questo: Da questo conosciamo che Dio rimane in noi dallo Spirito che ci ha dato. Come facciamo quindi a rimanere in Gesù? Riprendiamo quanto abbiamo capite grazie a Giovanni. Prima di tutto sapendo che Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa, cioè non guardandoci allo specchio, ma guardando Dio, non fidandoci della nostra colpevolezza, ma lasciandoci conoscere da Dio. Poi rimaniamo in Gesù, avendo fiducia in lui, cioè non mettendo la nostra fiducia in noi stessi, ma in lui. Un altro modo per esprimere la stessa verità è quello usato dal Vangelo quando ci dice che rimaniamo in Gesù se la sua parola rimane in noi. Se costantemente ritorniamo a queste pagine del vangelo di Giovanni, se le leggiamo, le meditiamo, le interiorizziamo, allora realmente Gesù rimane in noi, perché nella Parola è Gesù stesso che ci parla, che parla al nostro cuore e che parlandoci dimora nel nostro cuore. Infine per rimanere in Gesù dobbiamo attendere tutto dalla sua intercessione. Il Vangelo ci incoraggia a farlo promettendoci che qualunque cosa chiediamo al Padre nel nome di Gesù la riceveremo. Quindi dobbiamo chiedere, dobbiamo pregare, senza stancarci. Con fiducia dobbiamo costantemente chiedere a Gesù: Gesù rimani in me! E lui rimane in noi - lo sappiamo grazie allo Spirito Santo che abbiamo ricevuto. Per vincere le due tentazioni dell'autopunizione e dell'autogiustificazione, prendiamo coscienza sempre più profondamente della presenza di questo Spirito in noi, lasciamolo crescere in noi, lasciamoci guidare da lui, ritroviamolo nella nostra preghiera. Con questo Spirito abbonderanno allora in noi i suoi frutti, i segni inconfondibili della sua presenza e della sua azione: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé.