Omelia (03-05-2015) |
don Alberto Brignoli |
Una fede "a chilometro zero" Le leggi di mercato - o forse anche solo il desiderio di soddisfare qualche piacere della gola - ci mettono oggi nelle condizioni di poterci servire, in qualsiasi momento dell'anno, di quei frutti della terra che, in un passato nemmeno troppo remoto, non potevamo certo avere la pretesa di assaporare. Mangiare le fragole a gennaio, il melone a dicembre e le arance ad agosto non era certo una cosa abituale, e avere la pretesa o anche solo il desiderio di farlo veniva visto come un capriccio per benestanti o ancor peggio una richiesta da insensati. Lo stesso dicasi per frutti che provenivano da paesi esotici e che i pochi che viaggiavano all'estero avevano assaporato e ricordavano con nostalgia, tenendosi per sé il desiderio di tornare a mangiarli in un prossimo viaggio ai Tropici, giungendo - nel frattempo - ad esasperare coloro che li ascoltavano declamare il sapore particolare ed intenso di frutti dal nome impronunciabile e soprattutto introvabili sulle bancarelle dei nostri mercati. Oggi, invece, non è così: puoi trovare tutto ciò che vuoi in ogni momento dell'anno, a volte a prezzi accessibili, altre volte pagando non poco, ma sta di fatto che non esiste più la necessità di attendere l'arrivo della sua stagione per assaggiare un frutto della terra. La globalizzazione dei mercati ha portato a questo, e va detto con tutta onestà che sono molti i limiti e le nefaste conseguenze sottostanti a questa impostazione del commercio, in primis la "morte" dei piccoli produttori locali, che non riescono più a piazzare i loro prodotti perché fagocitati dalla grande distribuzione, regina della globalizzazione. A dire il vero, da alcuni anni si assiste ad un risveglio della coscienza del prodotto di stagione a "chilometro zero", e ci auguriamo tutti che il tanto declamato evento dell'Expo - che si è aperto in questi giorni proprio sul tema dell'alimentazione - porti i governanti a fare scelte coraggiose e controcorrente anche su questo aspetto. Dai, lo capisce anche un bambino: il frutto maturato sulla pianta e quindi colto nella sua stagione ha tutto un altro sapore e tutt'altre caratteristiche salutari e nutritive rispetto ad un frutto colto acerbo dall'albero, a migliaia di chilometri di distanza dalle nostre tavole, e fatto maturare durante settimane di viaggio in celle frigorifere con l'utilizzo di elementi chimici di cui l'etilene e l'anidride carbonica sono quelli meno nocivi... Ma volete mettere una pesca matura colta dall'albero nelle campagne veronesi a metà luglio, oppure un'arancia siciliana maturata a gennaio mentre qui al nord le temperature sottozero ce la fanno invocare come toccasana contro il raffreddore? Per non parlare di quella frutta che deve obbligatoriamente maturare sull'albero perché destinata a produrre qualcosa che va al di là del semplice frutto da tavola: è una bella pretesa, da noi, bere il vino novello a Natale, o peggio ancora in primavera... Il vino buono viene da una vendemmia buona, fatta al momento giusto, perché un tralcio non può dare frutti buoni, se non rimane attaccato alla vite fino al momento della maturazione. Era proprio qui, che volevo arrivare: alla metafora (o se preferite alla parabola) del Vangelo di oggi, in cui Gesù non solo dà uno schiaffo (anche se di certo non era il suo scopo) alle leggi della globalizzazione ribadendo la necessità che ogni cosa abbia il suo tempo e la sua stagione, ma anche e soprattutto vuole farci capire che un frutto non può maturare adeguatamente senza rimanere attaccato alla sua pianta. Per farla breve ed arrivare al sodo, non possiamo avere la pretesa, nel nostro cammino di amicizia e di profonda unità con Dio, di bruciare le tappe o ancor peggio di prendere da lui solo alcune ispirazioni e suggestioni per poi arrangiarci per conto nostro. Come è innaturale mangiare frutta fuori stagione, e come è insensato maturare un frutto cogliendolo acerbo dalla pianta, così non possiamo pensare di poterci dire buoni cristiani solo prendendo dal messaggio del Vangelo ciò che ci serve, qualche ispirazione, per poi arrangiarci da soli a vivere la nostra fede. O il nostro rapporto con Dio fa la fatica di compiere tutte le tappe necessarie, rispettando i suoi tempi, la sua natura, la sua genesi, ossia rimanendo unito come un grappolo alla vite, oppure la nostra non sarà mai una fede matura. Spesso, avanziamo la pretesa di vivere una fede come piace a noi, secondo i nostri ritmi, i nostri tempi, le nostre passioni, i nostri desideri, le nostre voglie, le nostre ispirazioni: per cui, ci sentiamo appagati nella nostra sete delle cose di Dio solo quando piace a noi, quando "ce la sentiamo", quando ci sentiamo ispirati. Ma un frutto non può maturare rimanendo attaccato alla pianta solo quando vuole lui: è necessario che abbia la pazienza e faccia la fatica di essere germoglio, poi foglia, poi fiore e poi frutto acerbo, e alla fine frutto maturo, lasciando che un altro decida di vendemmiare al momento giusto. Passatemi il termine: perché non ci lanciamo anche noi nella riscoperta di una fede "a chilometro zero"? Lasciamoci ispirare dall'immagine del Vangelo di oggi, e ricuperiamo una fede fatta di un rapporto naturale con Dio: una fede che affondi le proprie radici nella propria terra, con tutta la ricchezza del suolo della sua storia e della sua tradizione; una fede che faccia la fatica di sopportare l'arsura delle giornate di calore e il freddo delle piogge d'inverno; una fede che gioisca di fronte al risveglio della primavera; una fede che non ha fretta, e che si prepara a dare frutto al momento opportuno; una fede che guarda al di fuori dei confini del proprio orto non per sognare frutti che lei non sa dare, ma per respirare aria nuova capace di rigenerarla. Sono tutte immagini che la comparazione della vite e dei tralci porta con sé, e che ci vogliono aiutare a capire - come Gesù ci dice esplicitamente - che senza di lui non possiamo fare nulla. Una fede "fai da te", costruita su misura per noi e a nostro piacere, non sa di nulla e forse è pure dannosa: una fede "a chilometro zero", come quella di un tralcio unito alla sua vite, porta molto frutto. |