Omelia (03-05-2015)
Gaetano Salvati
Commento su Giovanni 15,1-8

La legittima paura dei discepoli alla vista di Paolo, divenuto credente sulla via di Damasco (At 9,26), rileva l'assoluta necessità del cristiano a non adagiarsi ad una passività priva di relazione, alla paura di aprirsi all'altro; ma abbandonarsi a Dio, al Suo dono, che è la fede.
Il dono della fede non è fusione mistica: è dialogo consapevole fra un Tu e un io. Nel vangelo di oggi questa relazione assume il carattere di comunione: "Rimanete in me e io in voi" (Gv 15,4). È l'intimità con Dio, la stupenda possibilità di conoscerLo, assaporare la Sua presenza fra di noi. Tale presenza ci rende Chiesa, uniti in Lui per partecipare alla vita divina.
"Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto" (v.7). La Sua presenza non ci fa, non deve farci, astanti egoisti della Sua parola, bensì operai di verità, costruttori del Suo amore (non del nostro), cristiani coerenti con ciò che si ascolta, che ama "non a parole né con la lingua, ma con i fatti" (1Gv 3,18). Dunque quel "chiedete quello che volete" è il risultato del nostro incontro con Cristo: noi chiediamo perché sappiamo che dinanzi a noi, in noi, fra di noi, c'è Dio che non ci lascia mai da soli, nelle difficoltà, nei dubbi, nelle ansie quotidiane. Cosa chiederemo allora? La Sua perenne vicinanza che rende la nostra vita piena, gioiosa.
"Che portiate molto frutto" (Gv 15,8). Il frutto da portare nel nostro cuore e fra le mani è Cristo Gesù. Lui dà significato alla pace, alla pienezza. Noi, infatti, non bisogna accontentarsi di una verità che qualsiasi benefattore può elargire; è necessario testimoniare il Signore, e in Lui sentirsi fratelli di un unico cammino di vita. Amen.