Omelia (03-05-2015) |
mons. Antonio Riboldi |
Io sono la vite vera C'è nel tempo in cui viviamo una grande scarsità di amore. Intimamente sentiamo che il ‘volersi bene' è davvero il clima di ogni vita, che sia davvero tale, ma oggi è facile dire ‘ti amo', ma spesso è solo un modo di dire e non una verità. La ragione forse è nel fatto che siamo troppo incentrati sul nostro ego, che mette sempre in primo piano noi stessi, non accorgendosi che così ci creiamo una casa senza porte e finestre, ossia viviamo al buio. La grandezza di un uomo si misura dalla profondità con cui sa tessere i rapporti con gli altri che gli sono vicini o che si incontrano nella vita, creando così rapporti che diventano, non solo sicura condivisione in tutto, ma costituiscono solide fondamenta su cui regna la fiducia. Ed è essenziale per la vita questo modo di stare insieme o vicini: un grande dono. Così come la fragilità o nullità di un uomo è nella superficialità o possessività dei suoi sentimenti: questi apparentemente hanno manifestazioni chiassose, che sembrano ‘esprimere' chissà quale amore, ma in effetti sono tanto effimeri, che non sanno andare al di là delle parole o dei gesti manifestati con facilità e apparente effusione o possono condurre a violenze inaudite. Purtroppo questo nostro mondo è intriso di questo effimero o possessivo ‘abbracciarsi', per poi altrettanto rapidamente ‘dimenticarsi' o ‘distruggere' la persona amata. Ci definiamo tutti amici: in apparenza ne abbiamo tanti, forse troppi, soprattutto virtuali, ma quando ci guardiamo ‘dentro' o cerchiamo la loro mano, o vorremmo posare il nostro capo sul loro petto, come fece l'apostolo Giovanni con Gesù nell'Ultima Cena, facilmente incontriamo un vuoto spaventoso, che rivela la misura dei nostri rapporti: un ‘girare a vuoto', un vano egocentrismo. Qui e proprio qui è uno dei profondi dolori che vivono in tanti: quello di sentirsi soli, non abbastanza amati, o amati senza la necessaria profondità o amati senza la libertà. Così ci ammonisce oggi l'apostolo Giovanni: "Figlioli non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa...". (I lett. Gv. 3, 18-24) Sono parole chiare: il comando di Dio è che amiamo tutti, senza eccezioni, tutti quanti il Signore mette sulla nostra strada, e non solo ‘con la lingua', che sa sempre trovare bellissime - a volte ingannevoli - parole. Se le parole di amore che si dicono tutti i giorni, ovunque, diventassero nostra vita, avremmo un mondo senza nuvole e di una serenità primaverile. La realtà invece è che si ha l'impressione di viaggiare nel buio pesto. Dobbiamo diventare capaci di ‘amare coi fatti e nella verità'. Ma l'amore, che è ‘dare la vita' a chi non ne ha, per noi cristiani, ha la sua origine, non solo dal comandamento: ‘Amatevi come io vi ho amati', ma ha una sorgente nell'Amore stesso del Padre, ossia da come viviamo il nostro rapporto con Dio, che non è assente, non assiste impassibile, non è estraneo agli eventi della nostra esistenza, anzi desidera che la nostra vita sia totalmente immersa in Lui e possa così ricevere ispirazione, forza, fino all'eroismo. È lo stesso Gesù che ce lo dice, nel Vangelo di oggi: "Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla... Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli". (Gv. 15, 1-18) Parola impegnativa da parte di Dio nei nostri confronti. Parole che ci fanno riflettere sulla ragione di tanti nostri fallimenti o - Dio voglia - di tanti frutti. È desolante vivere, affaticarsi, soffrire, ed alla fine avere la sensazione di essere a mani vuote.... come dei falliti. E di questi miseri ce ne sono tanti. Ma non sono ‘falliti' i santi della carità e tutti i santi che hanno fatto e fanno della vita ‘nascosta in Dio', una vita ‘colma di frutti'. Scriveva Paolo VI, il 21 agosto 1964: "Perché lavorare? Perché amare gli altri? Perché essere buoni, essere onesti? Perché soffrire? Perché vivere, perché morire, se non c'è una speranza sopra di questa nostra vita pellegrinante sulla terra? A dare il senso, il valore, la dignità, la libertà, la gioia, l'amore al nostro passaggio sulla terra è una vita cristiana immersa nell'amore del Padre. -. Per questo l'invito: ‘Rimanete in me e io in voi' vuol essere possente come un grido che dovrebbe rimanere come ammonimento... Essere cristiani vuol dire accorgersi, ed essere coinvolti, che siamo amati da Dio; che lassù c'è Chi ci vuol bene: una Provvidenza esiste su di noi; l'amore del Padre ci guarda, e una tenerezza infinita ci ammanta... ma per vivere questo Amore occorre sapere uscire da noi stessi, dai nostri piccoli e angusti interessi e amare in grande: ciò è possibile solo se si ‘rimane ogni giorno in Dio'. Un'utopia? No. È la sola regola per vivere già qui la dolcezza di essere amati da Chi è l'Amore e la forza di amare come Lui. Preghiamo ed operiamo, perché, soprattutto i nostri fratelli cristiani perseguitati, i migranti che fuggono dalla guerra e dalla fame, e tutti coloro che non sono amati, come il Padre desidera, non si abbandonino mai allo sconforto, ma sempre sperino, sostenuti dall'Amore e dalla Forza dello Spirito, dalla tenerezza della Mamma Celeste e dalla nostra carità e solidarietà fattiva. |