Omelia (03-05-2015)
don Maurizio Prandi
Rimanere è crescere

In questa V^ domenica di Pasqua riceviamo l'invito a rimanere (un verbo che piace molto all'evangelista Giovanni come si capisce da quante volte lo usa senza paura di fare tante ripetizioni) nella relazione con Gesù; secondo quello che Gesù stesso afferma, rimanere in quella relazione significa anche ricevere le attenzioni, lasciarsi curare, custodire, lavorare da Dio Padre che è il contadino, l'agricoltore. Rimanere allora, molto semplicemente, lo possiamo anche tradurre così: essere vicini. Ognuno di noi può pensare al desiderio che spesso abbiamo quando chiediamo a persone care di rimanere con noi: rimani ancora un po' qui con me... che bello avere il coraggio di rivolgerle ad un altro queste parole che, (penso a me), con difficoltà pronuncio perché potrebbero essere anche un'ammissione di fragilità o un desiderio di tenerezza. Non si tratta però di essere sdolcinati, ma di dire e riconoscere il bisogno di vicinanza, di comunione, di sostegno reciproco. So che il contesto generale del brano di vangelo che in questa domenica la chiesa ci consegna è più ampio, ma mi piace particolarmente questo: è lo stesso Gesù a dire prima rimanete in me... quasi a confessare questo bisogno che anche lui ha.

Il verbo rimanere lo incontriamo anche nella seconda lettura (chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.) legato all'osservanza del comandamento dell'amore a Dio (credere nel suo figlio Gesù) e al prossimo (che ci amiamo gli uni gli altri).

Ricordo che un giorno, parlando proprio di questo brano di vangelo con alcune persone di comunità a me affidate, ci siamo chiesti quale fosse secondo noi il significato di questo verbo RIMANERE, che cosa ci voglia trasmettere l'evangelista Giovanni riportando le parole di Gesù, e le risposte sono state le più diverse: stare saldi in Dio, avere fede, essere forti, arrivare alla meta, non tornare indietro. Una certa idea di staticità quindi, si è impossessata di noi legando il rimanere ad una posizione acquisita. Fortunatamente è durata poco perché ci siamo ricordati che all'inizio del suo vangelo Giovanni, raccontandoci dell'incontro di Gesù con i primi discepoli scrive che quel giorno rimasero con lui ma è stato l'inizio appunto di un'avventura meravigliosa. L'interpretazione che abbiamo dato di tutto questo è che Gesù per l'ennesima volta ci ricorda che la fede è un cammino nel quale solo se ci sentiamo all'inizio possiamo crescere. E' stato bello provare a sostituire il verbo rimanere con il verbo crescere: crescete con me e io cresco dentro di voi... nessun tralcio può portare frutto se non cresce unito alla vite... chi cresce con me, anche io cresco in lui e produce molto frutto... se crescete con me e le mie parole crescono in voi... ci è sembrata bella questa idea: crescere con Gesù vuol dire permettere che cresca Lui in noi, permettere che crescano le sue parole e che diventando sempre più importanti possano conformare la nostra vita a quello che Dio desidera. Per capire un po' meglio questa idea e anche quello che Gesù ci vuole dire, possiamo farci custodire dall'immagine della donna che aspetta un bimbo... non so dire bene, perché di figli non ne ho, ma credo possa attualizzare bene quello che Gesù ci dice parlando della vite e dei tralci: una creatura che cresce perché l'amore di un altro cresce dentro di lei. Certamente non è l'unica immagine ma forse può aiutare.

Il simbolismo che Gesù ci offre è davvero importante... perché ci parla della nostra vita, del nostro crescere, degli errori e delle potature necessarie, dei frutti che possiamo dare nonostante gli sbagli, ci parla di una fiducia di Dio in noi che va al di là delle nostre debolezze e delle nostre fragilità. Forse sto cercando soltanto delle consolazioni, però credo che Gesù ci voglia dire che i nostri errori, i nostri sbagli, non cancellano una esperienza bella, le cose buone fatte... i nostri errori non impediscono al futuro di chiamarci per poter dare quel frutto che soltanto dalla relazione con Gesù può nascere. Mi sembra questo il significato di quanto nella seconda lettura, l'apostolo Giovanni vuole trasmetterci scrivendo: se il nostro cuore ci rimprovera qualcosa, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Crediamo in un Dio che ci libera dal senso di colpa (non viene da Lui il senso di colpa...) facendo nascere in noi il desiderio non di arrivare, ma di camminare, non di essere perfetti, ma di crescere, non di convincere, ma di accompagnare.
Mi ha fatto molto bene, tempo fa, leggere nel libretto della benedizione delle famiglie della zona pastorale di S. Salvatore, il cammino che come comunità parrocchiali avete fatto sul nascere e sul crescere... lo sento molto vicino a quanto appena detto riguardo alla seconda lettura, e a quanto Gesù, nel vangelo di oggi, chiede di fare alla comunità cristiana. Il tralcio deve crescere, deve portare frutto e qualsiasi frutto, per buono e per bello che sia, non arriva ad essere perfetto... Gesù ci chiede di crescere, non di diventare perfetti (il Padre-vignaiolo continuerà a potare... ce ne sarà sempre bisogno...) → Crescere non significa sottrarsi all'errore e rendersi perfetti, ma piuttosto imparare a riconoscere che non tutto dipende da noi e che, come esseri umani possiamo imparare e comprendere l'errore come un punto di svolta nella crescita e pensare alla crescita non come un processo lineare ed ascensionale, ma piuttosto come un percorso con soste, deviazioni, perdite, guadagni e sorprese, che a volte sono l'essenza stessa della meraviglia di essere vivi (Dott. N. Cinotti in Sensibili allo Spirito: nascere e crescere).

Un passo di crescita è vivere quanto la seconda lettura che abbiamo ascoltato ci chiede: Non amiamo a parole, né con la lingua, ma coi fatti e nella verità. Perché parlo di crescita... intanto perché lo stesso Giovanni che scrive non si chiama fuori da un cammino comunitario, ma se ne sente parte (non amiamo dice...) e vede il rischio di fare della propria fede, se ridotta a qualcosa di vissuto singolarmente, privatamente, solo un fascio di parole; in secondo luogo, (ma qui andiamo alla prima lettura), è la stessa comunità dei discepoli a dirci di essere cresciuta, maturata... nonostante il passato di Paolo, fatto di condanne, di violenze, di errori, quando si rende conto (la comunità), che la sua vita è in pericolo, lo salva, portandolo prima a Cesarea e poi imbarcandolo per Tarso. Con fatica, tanta, stiamo tentando con alcuni di fare piccoli passi all'interno di una riflessione su cosa vuol dire far parte di una comunità, essere una comunità... oggi qui troviamo un bell'esempio. Di fronte alla fatica di Paolo nei suoi inizi dopo la conversione, (cosa trova? Un attentato, incomprensioni per altro giustificatissime, persecuzioni, complotti...) incontra fratelli che lo prendono con se', lo incoraggiano, lo presentano garantendo per lui e per il cambiamento che in lui è avvenuto... fratelli con i quali può stare e che nel momento giusto, come detto, lo salvano dal pericolo... don A. Casati scrive che siccome la durezza del vivere non si è attenuata, sarebbe proprio bello che le nostre assemblee e comunità, anziché aumentare paure e frustrazioni, sapessero infondere fiducia, incoraggiare, dar fiato, sostenere. Ecco il molto frutto del quale ci parla l'ultimo versetto del vangelo di oggi: il diventare discepoli di Gesù, testimoni del suo amore, del suo perdono, della sua misericordia ed in questo crescere. Ecco allora il glorificare il Padre: renderlo presente nelle nostre scelte, fatte ascoltando quelle parole di Gesù che piano piano sono cresciute dentro di noi e non sono rimaste parole ma sono diventate vita.