Omelia (10-05-2015)
mons. Roberto Brunelli
Vivere nell'amore secondo il modello

La prima comunità cristiana era composta da soli ebrei che avevano riconosciuto in Gesù il Messia promesso, ma ritenevano che egli fosse stato mandato soltanto a beneficio del popolo d'Israele. E' occorso un diretto intervento di Dio, per far capire loro che Gesù è venuto a redimere l'umanità intera: lo riferisce la prima lettura (Atti 10), narrando l'ingresso nella Chiesa del primo non-ebreo, il centurione romano Cornelio. "Dio non fa preferenze di persone" deduce l'apostolo Pietro, strumento nelle mani divine per spalancare la porta della salvezza al mondo intero.
Passando alle altre letture, nella seconda si legge che "Dio è amore". Questa semplice e insieme solenne affermazione condensa tutta la Bibbia, segna l'apice della rivelazione ed esprime il carattere fondamentale del cristianesimo, l'aspetto suo proprio che lo distingue anche dalle altre religioni monoteiste. Nei riguardi dell'umanità, il fatto che Dio è amore si è manifestato nella sua volontà di beneficarla, al punto che "Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati".
Questi concetti, espressi nella prima lettera di Giovanni (4,9-10), nel vangelo (Giovanni 15,9-17) trovano conferma dalle labbra dello stesso Gesù: "Come il Padre ha amato me, anch'io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi". Se poi egli ci ha amato, e sino a qual punto, viene spontaneo pensare al contraccambio; è del tutto naturale che, se accogliamo il suo amore, lo ricambiamo. Ma amare Gesù, amare il Padre suo che ce l'ha donato, come si fa? Oltre a lodarlo e ringraziarlo (è questo il fine primario della Messa), come si può dimostrare a Dio che lo amiamo? La risposta viene anch'essa da Gesù: "Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi".
Si noti: questo non è "uno dei", ma "il" comandamento relativo ai rapporti con i propri simili; quelli elencati nel decalogo, che gli ascoltatori di Gesù già conoscevano perché dati a Mosè sul Sinai, non sono aboliti ma prendono un nuovo significato: altro non sono se non specificazioni dell'unico comandamento, quello dell'amore reciproco. Il carattere proprio della fede cristiana, Dio è amore, si amplia così alla dimensione terrena; il cristiano si distingue per l'amore ai suoi simili. In proposito però ci si può porre qualche interrogativo: nel concreto, chi sono io chiamato ad amare? E come? E sino a che punto? Sembra irragionevole infatti amare chi mi ha fatto del male, né posso amare chi non conosco, né per amare mi si chiederà di rinunciare a qualcosa di legittimamente mio: e così via contestando.
In effetti le modalità e la misura dell'amore possono essere le più varie. Il decalogo esprime la misura minima: non fare del male agli altri (non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non attestare il falso...). Diverse sono le manifestazioni dell'amore, a seconda che riguardi il coniuge, o i figli, o i parenti, o gli amici, o gli estranei. L'amore può essere inquinato dall'interesse, o dal desiderio dell'affermazione di sé, o dal volersi poter dire "bravo", o dall'aspettativa di esserne ricambiato. E si potrebbe continuare, in una casistica senza fine, di fronte alla quale restano però perentorie le parole di Gesù: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri", e non genericamente ma secondo una ben precisa misura: "come io ho amato voi". Vale a dire, non a parole ma nei fatti, addirittura dando la mia vita per voi.