Omelia (17-05-2015)
Carla Sprinzeles


Amici, prima di tutto vorrei capire con voi il significato della festa di oggi.
Se confrontiamo i 4 vangeli il racconto dell'ascensione è diverso.
Luca lo colloca a Gerusalemme e inquadra l'evento all'interno delle feste ebraiche, la Pasqua, Pentecoste; gli altri evangelisti parlano invece di un monte in Galilea. Per cui non è un evento solo, quello che oggi ricordiamo. In fondo potremmo dire che è l'ultimo incontro che i discepoli hanno avuto con Gesù, il saluto che ha dato ai suoi discepoli in diversi momenti.
Per Gesù rappresenta l'ingresso definitivo nella forma ultima di umanità.
Per avere un'idea possiamo pensare che la nostra vita attuale sia come quella del feto nel seno di sua madre: quando nasce è nato, non è più nello stato precedente, è in una forma nuova. Così Gesù è pervenuto a quella modalità di esistenza che chiamiamo "vita eterna".
I discepoli utilizzano il modello del cielo che è in alto, perché la loro concezione di cosmo era quella, ma in realtà Gesù non è andato in un luogo, salendo non si va da nessuna parte.
Noi abbiamo altri modelli culturali e non dobbiamo fermarci a queste esteriorità.
Cosa significa allora per noi l'ascensione? Ci indica qual è il nostro traguardo.
Noi siamo in un processo, non siamo ancora noi stessi, lo stiamo diventando.
Occorre avere presente il traguardo a cui siamo chiamati, anche se non lo conosciamo, ma occorre ricordarsi che questa non è la nostra condizione definitiva, mentre noi siamo tentati di pensare che siamo già compiuti, che la nostra sensibilità e il nostro modo di vedere le cose siano adeguate alla nostra vita, mentre sono funzionali a un traguardo che è davanti a noi!
Occorre interiorizzare questo traguardo, far sì che ispiri desideri, pensieri con caratteristiche nuove, legate alla nuova nascita.
Tutto ciò che pensiamo, desideriamo, operiamo, non è indifferente, modifica il cervello, struttura la persona, costruisce il tuo futuro, realizza quell'identità che poi resterà per sempre.
Diventiamo in forma definitiva... occorre perciò imparare a vivere pienamente il presente, da accogliere sempre quel piccolo frammento di vita che ci viene consegnato in ogni istante!
Nessuna situazione della nostra vita è tale da impedirci di crescere come figli di Dio, cioè da impedirci di accogliere quel dono d'amore di Dio che ci perviene!

ATTI 1,1.11
Il passo degli Atti che leggiamo oggi è l'inizio del libro. Luca ne è l'autore e prosegue il suo vangelo.
Fa il riassunto di ciò che è capitato.
Un versetto da sottolineare è: "Non spetta a voi conoscere i tempi...ma avrete forza per essere testimoni fino agli estremi confini della terra..."
Il tempo non è nelle nostre mani! Ma avremo la forza necessaria a tener duro fino a quando sarà necessario!
Essere testimoni di che cosa?
Testimoniare la fiducia che Dio farà fiorire qualsiasi pezzo di qualsiasi vita, secondo la propria fioritura possibile.
Il particolare della "nube" che lo sottrasse ai loro occhi, è ripreso dalla "nube" che aveva guidato gli ebrei nella traversata del deserto. Una nube che copre dall'eccesso di sole a picco, ma oscura anche, nasconde.
La storia è il tempo che ci è dato per imparare a conoscere Dio, il nostro fidanzamento, occorre amare la storia, la strada che ci porta alla meta.
Gesù, oggi non lo incontri, occorre imparare una grammatica nuova, una grammatica dell'assenza.
Le cose contano, ma non sono l'assoluto, sono il tessuto dell'eternità, occorre imparare ad abitare l'assenza.
Gesù è là dove il fratello parla all'altro nella sua lingua, là dove l'altro sta e non dove si vorrebbe che fosse. Aspetta da noi compassione, consolazione, amicizia!

MARCO 16, 15-20
Oggi leggiamo i versetti finali del vangelo di Marco, che non appartengono all'opera originale di Marco, bensì a un redattore successivo: gli studiosi lo notano dallo stile letterario molto diverso dal resto del vangelo.
I primi apostoli attendevano il ritorno di Gesù, pensavano dovesse consistere in una presenza fisica in mezzo agli uomini, in uno stato glorioso. Lo attendevano immediatamente, dopo poco tempo, prima della loro morte.
Noi sappiamo che questa presenza del Signore continua nel tempo attraverso la fedeltà dei suoi testimoni. Speriamo di essere anche noi fedeli testimoni e rendere Dio presente!
Come facciamo a sapere se è così?
Gesù viene sulla terra dove la pace viene attuata, dove la giustizia viene radicata, dove gli uomini riescono a superare le divisioni, gli interessi privati, dove realizzano una fraternità. E' la forza di Gesù che si esprime nella storia.
Noi saremmo tentati di guardare solo il cielo, il traguardo finale, raggiungere la nostra salvezza.
E' la tentazione dell'individualismo, invece sappiamo che la persona cresce solo nelle relazioni.
Occorre un ambiente favorevole... se non ci sono comunità dove i rapporti vengono vissuti nell'accoglienza dell'azione di Dio, non possiamo raggiungere il traguardo, diventare figli di Dio nella forma definitiva.
Difatti Gesù si è preoccupato di costituire un gruppo, una comunità, che cercasse di vivere i rapporti come Lui li viveva.
Occorre che anche noi cerchiamo di vivere in comunità come lui ha vissuto.
"Perché guardate in cielo? Andate ad annunciare il vangelo!" hanno detto i due uomini in bianche vesti mentre gli apostoli fissavano il cielo mentre Gesù se ne andava.
Gesù tornerà attraverso la nostra fedeltà.
Al contrario ogni nostra infedeltà, scelta negativa, giudizio non corretto che formuliamo non è solo male per noi, ma mettiamo un blocco all'azione di Dio nella storia.
Occorre perciò avere una fermezza di annuncio, una franchezza, che arriva dall'armonia interiore, dalla coerenza interiore alla fedeltà della vita. Non possiamo bleffare, la nostra vita parla!
Quello che passa agli altri è quello che noi viviamo!
Occorre superare la tentazione di fuggire il provvisorio, occorre vivere il presente, che è sempre provvisorio, inadeguato, ma noi cogliamo il dono dell'azione di Dio solo nel presente.
L'altra tentazione è quella opposta: immergerci nel presente e viverlo come se fosse definitivo.
La resurrezione non può essere accertata, ma noi amando dove c'era odio, offrendo perdono, testimoniamo che Gesù è risorto e vive in noi!
Gesù è stato limitato nel tempo, ma ha detto: "Farete cose più grandi di quelle che io ho fatto".
Sì perché la ricchezza della vita ci viene consegnata e continua a crescere se trova persone che la accolgono.
Gesù aveva parlato molto ai suoi discepoli prima della sua morte e dopo la sua resurrezione, poi sembrava essersi dileguato!
"Sedette alla destra di Dio" cosa vuol dire?
Nel salmo 110 si dice: "Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi."
"Sedere alla destra" significa partecipare della regalità di Dio.
"Sedere alla destra" è' fonte di benedizione e di vita: l'efficacia della missione stessa dei discepoli deriva dal fatto che il Signore opera con loro.
I discepoli di Gesù e anche noi oggi, se lo vogliamo, collaboriamo con Dio!
Agire, parlare nel suo nome è possibile a tutti, appunto perché egli è il vivente.
E' presente in ogni esistenza, agisce attraverso chi gli permette di passare nei propri gesti, parole e sentimenti. Possiamo raggiungere i cuori più chiusi (ecco cosa sono le lingue nuove!), diventiamo capaci di oltrepassare i muri della delusione e la più grave malattia può essere trasformata in un luogo di guarigione per se stessi e per gli altri.
Presente? Assente? Gesù è là dove il fratello parla all'altro, dove sta e non dove vorrebbe che fosse, dove c'è compassione, consolazione e amicizia.

Dopo tutto quello che abbiamo detto non ci resta che vigilare sulle nostre azioni del presente, orientarle verso l'accoglienza dell'azione di Dio, per continuare con Gesù e come lui a comunicare amore e vita a tutta l'umanità incarnata in chi ci è a fianco.