Omelia (10-05-2015)
don Alberto Brignoli
La miglior catechesi eucaristica

Ci stiamo avvicinando alla conclusione del tempo di Pasqua, e i Vangeli che abbiamo ascoltato in queste ultime tre domeniche si sono snodati lungo un filo conduttore che credo trovi il suo punto cruciale nel brano di Vangelo di quest'oggi. Il tema è quello della profonda unità, dell'unione tra il Risorto e i suoi discepoli. Abbiamo iniziato con la parabola del Buon Pastore, dove l'unione tra noi e il Maestro assume le caratteristiche di una sequela, basata sull'ascolto della sua Parola, proprio come fa il gregge quando ascolta la voce del proprio pastore. Poi quest'unione, già molto forte, si fa ancora più intensa nella comparazione con la vite e i tralci: un frutto non può maturare se non rimane unito all'albero che lo ha generato, e lo stesso avviene per il discepolo di Gesù, che non può pensare di vivere una fede profonda a prescindere dalla sua unione con lui, perché la fede non è un fatto puramente cognitivo, razionale, legato all'ascolto e alla comprensione della voce del pastore. La fede è un fatto di cuore, di profonda unità con Dio, in una parola sola è questione di amore. Ascoltare la voce del pastore, sapere tutto o anche solo qualcosa di lui, seguirlo ovunque lui vada, non è sufficiente, o per lo meno lui non lo ritiene sufficiente: Dio va amato, Dio desidera che noi lo amiamo, e che dimostriamo il nostro amore per lui amando i nostri fratelli, amandoci tra di noi.
È ciò a cui ci conduce il Vangelo di oggi. Un Vangelo conosciutissimo, ascoltato molte volte, noto e famoso anche negli ambienti non direttamente ecclesiali, in quanto contiene il precetto fondamentale del cristianesimo, che viene citato anche dalle enciclopedie o dai trattati di storia delle religioni quando si tratta di delineare i principi del cristianesimo. Stiamo parlando del comandamento fondamentale della religione cristiana: "Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi". Potremmo dire che tutto il cristianesimo si riassume in queste parole; gli altri precetti e comandamenti sono solo dei corollari complementari a questo. Una volta applicato questo comandamento, abbiamo vissuto in pienezza il cristianesimo. Più semplice di così...
D'accordo: ma...dal momento che dobbiamo amarci come lui ha amato noi, qual è il modo in cui lui ci ha amati, perché possiamo fare altrettanto? La prima spiegazione che Gesù ci offre, nei versetti immediatamente successivi, è...altrettanto semplice: l'amore più grande è dare la vita per i propri amici. E dal momento che siamo suoi amici nella misura in cui facciamo ciò che egli ci comanda, ossia nella misura in cui ci amiamo gli uni gli altri, l'amore più grande è proprio quello con cui lui ci ha amati: dare la vita per noi, suoi amici. Se vogliamo essere come lui, dobbiamo dare la vita per i nostri amici: il cristianesimo è tutto qui.
Alla faccia...! Essere cristiani non mi pare sia proprio così semplice come pensiamo, o per lo meno non è così semplice come lo viviamo e soprattutto come ci è stato insegnato. Guardiamo alla nostra educazione cristiana: cosa ci è stato insegnato, quando abbiamo ricevuto l'indottrinamento cristiano? Ci è stata insegnata la dottrina cristiana attraverso il catechismo sin da piccoli, e grazie a Dio devo dire che quelli della mia generazione e di quelle precedenti (diciamo i nati negli anni del Concilio e ancora prima) abbiamo avuto tutto sommato la fortuna di non aver ricevuto solamente nozioni di catechismo come indottrinamento, ma di essere cresciuti ancora in un regime di "cristianità diffusa e condivisa" che, pur con tutti i suoi limiti, ci dava quantomeno la possibilità di "respirare cristianesimo" in ogni luogo in cui ci muovevamo: famiglia, scuola, cortile, oratorio, società sportive...bene o male il contesto ci facilitava ad essere cristiani.
Ma in questi giorni facevo questa riflessione relativamente a quanto in questo periodo dell'anno generalmente molte delle nostre parrocchie si trovano a vivere, ovvero la celebrazione dei sacramenti dell'iniziazione cristiana, e mi sono soffermato a pensare soprattutto alla più suggestiva di queste celebrazioni, quella legata all'Eucaristia, la Prima Comunione, per intenderci. È uno dei momenti più emozionanti della vita di un fanciullo, ed è bello vedere che lo si vive così, nelle nostre comunità. Si assiste ad un fervore e ad un entusiasmo senza paragoni, nell'allestimento di queste celebrazioni, ed è giusto, direi addirittura doveroso, che sia così. Se poi però guardo al cammino di catechesi che prepara i fanciulli a questo momento, qualche riflessione e anche qualche perplessità in più ce l'ho. Senza dubbio, la catechesi ha fatto passi da gigante nella metodologia e nei contenuti, e molte comunità hanno investito parecchio in questo. Tuttavia, mi pare che è ancora troppo diffusa una modalità di fare catechesi che (come accennavo prima) sa più di indottrinamento che di insegnamento della vita cristiana. I Dieci Comandamenti insegnati a memoria, l'elenco dei Sacramenti ben in ordine, la necessità del digiuno eucaristico di un'ora prima di fare la Comunione, il legame inscindibile tra sacramento della Riconciliazione e Comunione (con la conseguente convinzione dell'indegnità dell'accostarsi al sacramento se non debitamente confessati), l'obbligo di osservare il precetto domenicale per evitare che la Prima Comunione non rimanga l'unica per molto tempo...sono elementi indispensabili da conoscere e da praticare, ma sono fortemente convinto che non bastano, per insegnare la catechesi ai nostri bambini in vista dell'Eucaristia; anche e soprattutto in considerazione del fatto che quel regime di "cristianità diffusa e condivisa", loro non lo respirano proprio.
Il rischio legato ad una catechesi eucaristica intesa come "nozionistica e precettistica" è quello di fare crescere generazioni di cristiani che associano la vita e la religione cristiana all'osservanza di quei precetti e di quelle nozioni: va bene, ma non basta, perché sarebbe come indossare un vestito che, quando cresci, non ti va più bene e quindi lo getti via. La vita cristiana non è un vestito, perché - e l'Eucaristia ce lo dice bene - è qualcosa da assimilare, da assumere, da mangiare con il pane quotidiano perché rimanga dentro di te e con te cresca.
Scendiamo nel concreto? Insegniamo ai nostri fanciulli (o meglio, a tutti noi iniziando da quando siamo fanciulli) che il comandamento principale della nostra fede è quello che abbiamo ascoltato oggi, e che - quando facciamo la Comunione a messa - si concretizza in tutto ciò che ne consegue e che abbiamo ascoltato nella liturgia della Parola di oggi, ossia:
- nel considerare gli altri uomini e le altre donne non come "servi", ma come "amici", ossia non come persone che sfruttiamo per ciò che a noi serve e fa comodo, ma come persone a cui cerchiamo di voler il maggior bene possibile;
- nel dare la vita per loro, che non necessariamente significa morire per gli altri (a qualcuno è data anche la grazia del martirio), ma di certo significa mettere la propria vita a servizio degli altri, e fare in modo che gli altri da noi ricevano vita, e vita in abbondanza;
- nel fare qualcosa che porti frutto per la comunità, che sia fruttuoso, che serva al bene comune;
- nel considerare gli uomini e le donne di ogni etnia e di ogni condizione come nostri fratelli e nostre sorelle, perché Dio (come dice Pietro nella prima lettura) "non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga";
- nel creare una mentalità cristiana fatta di rispetto e di solidarietà (diciamo di "misericordia", per stare in linea con il magistero di Papa Francesco) più che di nozioni o di precetti.
E soprattutto, insegniamo ai nostri ragazzi che la ricetta è completa solo se aggiungiamo l'ultimo elemento del banchetto, quello che dà sapore a tutto: la gioia. "Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena". Il cristianesimo non è una religione per musoni: fare la comunione, fare comunione con Gesù ed essere arrabbiati con il mondo intero è il modo migliore per dire agli altri: "Io non credo in Gesù Cristo". C'è tanta offerta religiosa, in giro: se non abbiamo nel cuore la gioia del Vangelo, scegliamo qualcos'altro, ma non di essere cristiani.