Omelia (17-05-2015)
mons. Gianfranco Poma
Fu elevato in cielo

Celebriamo la festa dell'Ascensione del Signore leggendo Mc.16,15-20, una parte della finale lunga del Vangelo. Questo testo aggiunto è la testimonianza della vita e dei problemi della comunità cristiana, della sua esperienza del Signore risorto dopo il silenzio e la paura delle donne a cui si ferma la prima finale di Marco (Mc.16,1-8). È una ricapitolazione delle tre apparizioni del risorto di cui parlano gli altri Vangeli, scandita dagli avverbi di tempo "prima", "dopo", "alla fine", a cui corrisponde una ribadita incredulità culminante nel rimprovero rivolto da Gesù agli Undici: sembra infatti che egli, nell'apparizione agli Undici mentre sono a tavola (simile alla narrazione di Lc.24,41-43 e di Gv.21,5.9-13 anche se qui il risorto non mangia), sia apparso solo per rimproverarli con una particolare durezza. Infatti, mentre lungo tutto l'arco del Vangelo è sottolineata l' "incomprensione" dei discepoli, ma solo ai suoi oppositori è attribuita la "incredulità" e la "durezza di cuore", qui Gesù arriva a rimproverare proprio questo agli Undici, denunciando in loro un vero rifiuto di credere nella risurrezione. Appare singolare che al totale silenzio sulla reazione degli Undici al rimprovero di Gesù, segua immediatamente il discorso di invio in missione. Questo può forse spiegare il motivo di questa aggiunta alla conclusione breve del Vangelo di Marco: nella comunità credente è avvenuto il passaggio dal "Vangelo" come evento nella carne di Gesù, al "Vangelo" come "annuncio" e poi come "scritto". L'"inizio del Vangelo di Gesù" giunto al suo compimento, adesso è affidato alla missione di coloro che lo portano come "annuncio" al mondo intero: adesso la comunità gusta l'esperienza della novità del Vangelo, perché Gesù "è stato elevato in cielo e siede alla destra di Dio", rimane, vivo per sempre, e dà senso alla storia e ad ogni creatura. Questa pagina testimonia il punto di arrivo della comprensione del "Vangelo" come annuncio di un evento, in cui, una volta per sempre, è raggiunta la realizzazione piena dell'uomo nella sua relazione con Dio: il Vangelo come annuncio dell'Amore ormai donato ad ogni creatura. Per questo inizia la missione destinata all' universo, perché universale è il dono dell'Amore, missione affidata a persone appassionate perché si tratta di non lasciar mancare a nessuno non una dottrina o un'etica, ma l'annuncio che ciò a cui aspira il cuore di ogni creatura, gli è donato: senza questo c'è solo non senso e drammatico fallimento. Credere o non credere il Vangelo, il "lieto annuncio": ormai la frontiera che distingue gli uomini non passa più tra puro e impuro, tra ebrei e pagani, giusti e peccatori, buoni e cattivi, maschio e femmina, ma tra coloro che credono o non credono l'Amore che ormai riempie il mondo. Ma chi può non credere l'Amore quando è annunciato, quando è riversato in ogni cuore, quando trasforma gli uomini che l'accolgono in operatori di segni meravigliosi di vita nuova? Ed è questa l'ultima grande novità: la possibilità di compiere segni che rendono felice la vita non è più un privilegio riservato agli apostoli o ai predicatori, ma è ormai dono normale per coloro che credono l'annuncio. Comprendiamo perché l'autore di questa finale del Vangelo non tema di sottolineare la difficoltà degli Undici a comprendere sino ad arrivare al rimprovero per la loro "incredulità" e "durezza di cuore", perché appaia a tutti che il "Vangelo" è l'annuncio di un Amore donato ormai per sempre al mondo, per l'incontro tra l'uomo e Dio, realizzato in Gesù Cristo. Il Vangelo chiede solo di essere annunciato e si fa strada nel cuore di ogni creatura nonostante le difficoltà e l'incredulità anche degli Undici. Per questo tutto si compie con l'annuncio della "Ascensione", l' "elevazione di Gesù in cielo". Il cielo è l'infinito verso cui ogni uomo alza gli occhi quando vuole lasciare spazio alla speranza, al desiderio di felicità che sente nel proprio intimo, quando tocca con mano che ciò che ha intorno a sé non gli basta. A questo desiderio non possiamo dare una risposta da soli, possiamo solo sentirlo, sperare di poter trovare la risposta. Guardare il cielo è l'espressione più piena del desiderio di Dio, dell' anelito più intimo dell'uomo, dove Dio e l'uomo possano incontrarsi e donarsi in un abbraccio pieno di felicità. Celebrare l'Ascensione significa credere che con Gesù un uomo per la prima volta e ormai per sempre e per tutti, è giunto pienamente e definitivamente a Dio e da lui è stato accolto: significa sentire che l'anelito dell'uomo si è realizzato e che la storia quindi ha un nuovo inizio. Gesù che è disceso sino alla morte, è stato innalzato sino a Dio: l'Amore ha riempito lo spazio aperto dall'abbandono di Gesù nelle braccia del Padre. Gesù è il Signore, non perché domina sul mondo ma perché gli dona la vita: la realizzazione della storia, il cielo che desideriamo, ci è donato in Gesù, nello spazio di Amore che Lui ha già aperto. Non è il nostro farci protagonisti prepotenti della storia, non sono le nostre opere buone, che ci fanno scalare il cielo: il cielo è già aperto e ci è già donato, a noi è chiesto di crederlo, accoglierlo e lasciare che attraverso la nostra umanità, qualunque sia, aperta all'Amore diventi la dinamica nuova della quotidianità della storia.