Omelia (17-05-2015)
don Alberto Brignoli
Come se tutto dipendesse da noi...

Efficientismo e accidia: sono le due categorie in mezzo alle quali gli uomini si barcamenano nella vita di ogni giorno, e devo dire che nemmeno noi cristiani ne siamo esenti. C'è chi non sta mai fermo un istante: ha sempre bisogno di trovare qualche cosa da fare. E se capita che non ci sia nulla da fare, se lo inventa, a volte addirittura disfacendo quello che lui stesso o altri avevano fatto in precedenza, così, solo per il gusto di avere qualche cosa da fare, pur di non stare con le mani in mano, fermo, a pensare e riflettere prima di fare qualcosa. Perché il vero problema dell'efficientismo è proprio quello: l'incapacità (o la mancata volontà) di pensare, di riflettere...un vuoto della mente che si pensa bene di riempire attraverso un mucchio di cose da fare, le quali - appunto - evitano di creare pensieri. L'accidioso, invece, si ferma spesso a pensare: forse, anche troppo. Spesso sente di essere inadeguato di fronte alla vita e a tutte le sue vicissitudini; a volte, invece, non gliene importa nulla e lascia che tutto scorra secondo un inesorabile destino che - a detta sua - è difficile riuscire a cambiare. Sta di fatto che entrambi, l'efficientista e l'accidioso, partono dalla stessa convinzione: tutto dipende da noi, dalle nostre capacità e dalle forze che mettiamo in gioco nell'esistenza quotidiana. Chi punta tutto sull'efficienza, lo mostra in maniera evidente dandosi continuamente da fare, convinto di salvare il mondo; chi sta fermo a guardare, lo fa a partire dalla presa di coscienza che il compito affidatogli è talmente gravoso e lo rende talmente indispensabile alla vista di tutti che si sente inadeguato e non all'altezza, per cui vi rinuncia. Come se tutto dipendesse da noi...
Chissà se i due redattori finali del Vangelo di Marco appartenevano a queste due diverse ma così simili categorie umane. Gli studiosi, infatti, sono ormai concordi nel dire che il Vangelo di Marco nella sua versione originaria (frutto dell'opera dello stesso Marco? Difficile da dire...) termina al versetto 8 di questo capitolo 16, con l'annotazione di un silenzio generale delle donne e dei discepoli di fronte alla risurrezione (per paura di dover ricominciare da capo, forse?): "E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura". Poi però, dopo qualche tempo, qualcuno trovò scandaloso che la Buona Notizia concludesse così, senza nemmeno la prova delle apparizioni del Risorto: e allora, parte un elenco di apparizioni di Gesù che ha come costante l'incredulità da parte di chi ascolta l'annuncio della risurrezione ("neanche a loro vollero credere"), e come conclusione il rimprovero di Gesù, al v. 14, appena precedente quelli letti nel Vangelo di oggi: "Alla fine apparve agli undici, mentre stavano a mensa, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato".
Da un Gesù così arrabbiato, ti aspetteresti di tutto, ma non che affidi a questo gruppo di increduli, incapaci e diffidenti, qualcosa di importante. E invece, affida loro la missione più importante: "Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura". E qui, ci mette lo zampino il redattore efficientista, che smentisce il collega accidioso del versetto 8, quello della paura a parlare: questi discepoli increduli, di colpo diventano dei fenomeni di efficienza pastorale: scacciano i demoni, parlano lingue nuove, bevono veleni e si fanno mordere da serpenti senza conseguenze, guariscono tutti i malati che toccano (tutte cose tra l'altro descritte negli Atti degli Apostoli, in cui anche Marco fa la sua parte)...da dove derivano loro tutte queste capacità? E soprattutto, come fa Gesù a fidarsi di un gruppo del genere, visto che l'unica volta che appare a loro tutti insieme li rimprovera, e pochi istanti dopo se ne va in cielo per sedere alla destra di Dio e non farsi più vedere sulla terra? Che bella fiducia!
Come sempre, c'è il trucco...anche nel brano che abbiamo letto. Tutte queste meravigliose opere (e gli Atti, come dicevo, ce lo confermano) avvengono perché sono fatte "nel mio nome" (dice il Maestro) e perché "il Signore agiva insieme con loro". Eppure, oggi festeggiamo il giorno in cui il Signore Gesù se ne torna dal Padre e, presumibilmente, abbandona i suoi discepoli al loro destino...e non è questione di aspettare lo Spirito Santo e la Pentecoste, perché questi subito "partirono e predicarono dappertutto".
Cos'è questa Ascensione di Gesù al cielo? È proprio un distacco fisico? Può darsi. È una partenza per il cielo anima e corpo? La tradizione biblica, quando parla di cielo e di trono di Dio (alla cui destra siede Gesù), non parla di un'atmosfera divina, di uno spazio celeste ("la terra è lo sgabello dei suoi piedi", secondo i Salmi), ma di una condizione divina, quella per cui Gesù riceve da Dio Padre gli stessi suoi poteri perché è vincitore della morte: e il Signore Gesù che "agisce con i discepoli" è la prova evidente che Gesù non se n'è andato, ma ha solamente assunto in pienezza la sua dimensione divina.
Perché il regno di Dio che Egli ha predicato in tutto il Vangelo di Marco, sin dai primi versetti, "è vicino", talmente vicino da identificarsi con lui e con le opere che i suoi discepoli possono compiere se credono in lui. Opere che, nonostante il linguaggio così solenne e vetusto dei segni che accompagneranno la loro missione, sono di una grandissima attualità: la Parola che essi annunciano è efficace contro ogni forma di alienazione umana (i demoni), è efficace perché comunicativa e moderna (le lingue nuove), è efficace perché entra in dialogo con il mondo senza farsi avvelenare o corrompere dal mondo (serpenti e veleni), è efficace perché guarisce il male, quello fisico, a volte, ma anche e soprattutto il male di vivere, con la forza della misericordia.
Ma soprattutto, è efficace nonostante la loro incredulità, la loro accidia o la loro convinzione di poter salvare il mondo con le proprie forze.
Perché i protagonisti della storia, ricordiamocelo bene, non siamo noi. Per cui, stiamo sereni: il Maestro, in realtà, non ci ha mai abbandonati.