Omelia (17-05-2015) |
don Luca Garbinetto |
Discendere per salire al cielo ‘Cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra?' (Ef 4,9). La via per ascendere al Cielo è la discesa verso la terra. Questo è stato l'esodo di Gesù, il Figlio di Dio. Questo è l'itinerario proposto anche a noi, per imitare il Maestro e Signore che ci invia per il mondo a ‘proclamare il Vangelo a ogni creatura'. Tradizionalmente, si usa dire che la vita cristiana e la vita spirituale in genere sia un cammino per ascendere sempre più in alto e avvicinarsi a Dio. Sembra però che Dio stesso abbia stravolto questa visione delle cose, mettendoci tutti gambe all'aria. Infatti si ascende verso di Lui nella misura in cui si accetta di scendere assieme a Lui. Le pratiche ascetiche, gli esercizi virtuosi, l'impegno per una buona condotta di vita valgono nella misura in cui siamo immersi nella kenosis di Dio, che è la sua spogliazione: questo è il battesimo, questa è la fede! Sono due i luoghi della discesa. Il primo è quello dei prossimi che incrociano le nostre esistenze. C'è da avviarsi e percorrere le strade che portano alle viscere del mondo, dove cioè brucia la sofferenza, la divisione, l'emarginazione. Lì il diavolo divide e frantuma le persone e i rapporti: nei luoghi dell'egoismo e della competizione esasperata, negli spazi dell'individualismo e della rivalità che uccide. Siamo mandati a scendere negli inferi dell'umanità, dove il povero interpella drammaticamente la nostra solidarietà e la nostra capacità di condivisione. È la prima via di spogliazione e di discesa, sempre più urgente, sempre più universale. Lì c'è da compiere gesti di guarigione, di riconciliazione, di unificazione, con la potenza dello Spirito, del Signore che agisce insieme con noi, con gesti che confermano la scelta del discepolo. E il secondo ambito della discesa siamo noi stessi, la nostra interiorità, il nostro misterioso mondo interiore. Abbiamo bisogno del coraggio di entrare dentro noi, accettando il rischio di abitare le nostre fragilità e i nostri dolori che ci terrorizzano. I demoni si nascondono nella sottile superbia di evadere dalle nostre ferite. Quando ci diciamo troppo deboli per essere perfetti, ma non ci accorgiamo che si maschera lì la menzogna che nemmeno Dio possa riscattarci dalla nostra miseria. Scendere in noi significa credere che lo Spirito è abbastanza potente da vincere la frammentazione che ci spacca dentro, da sconfiggere il maligno che ci sussurra la bugia di essere così indegni da non meritare nemmeno lo sguardo del Signore. Come se il Signore se ne fosse andato lassù nel Cielo per rimanerci per sempre, lontano e dimentico di noi. E invece, chi accetta il rischio e il fascino di percorrere queste due vie di discesa, si incontra con il compimento della promessa: Lui, il Signore, è già lì che ci attende, perché è disceso prima di noi. Gesù, infatti, abita nel povero, che è icona della Sua fedele permanenza nel mondo, non solo a fianco, ma dentro la stessa esistenza di ogni emarginato. E Gesù abita nella stanza intima del nostro cuore, laddove si incontrano i nostri desideri di infinito e la nostra più lacerante miseria. Gesù, ‘più intimo a noi di noi stessi', è sceso agli inferi della storia e di ogni persona, per prenderci per mano e portarci fuori, riscattati dal suo Nome, che è ‘Signore'. Discendere, per ascendere, significa in fondo accettare di tendere a Lui la nostra mano, perché Egli ci sollevi fino ai vertici della sua bellezza. Chi percorre le strade del mondo con questa consapevolezza, fa della propria vita un segno credibile dell'efficacia della Parola. |