Omelia (07-06-2015)
Carla Sprinzeles
Commento su Es 24,3-8 e Mc 14,12-16.22-26

Oggi celebriamo una festa che è fondamentale per la nostra vita, ma occorre chiarirci le idee.
Molte volte si parla della presenza eucaristica in senso spaziale, cioè come se fosse l'applicazione delle dimensioni del corpo di Cristo al luogo, allo spazio.
E' una cosa assurda, il corpo glorioso di Cristo non ha dimensioni spaziali, per quanto non riusciamo a capire.
Cosa vuol dire che è una presenza "sacramentale"?
Si potrebbe portare l'esempio del telefono.
La presenza spaziale è una presenza molto esteriore, si occupa un luogo, ma si può essere scollegati dagli altri.
Se io parlo al telefono con una persona cara, creo un rapporto, ci può essere una presenza molto più reale che quella fisica, che occupa uno spazio.
Nel vino non c'è il sangue di Gesù, Gesù stesso adesso non ha il sangue, la condizione del risorto non è la nostra condizione.
Le molecole del pane restano molecole del pane, non c'è cambiamento.
E' come le onde elettromagnetiche che trasmettono un messaggio: dal punto di vista fisico restano onde elettromagnetiche, ma il messaggio reale è un messaggio che può essere di amore, di sofferenza, trasmettere emozioni reali.
Il rapporto con il corpo di Cristo è un rapporto reale di abbandono fiducioso in Dio, entriamo in rapporto con la sua azione.
E' un rapporto reale, ma non spaziale, è molto più profondo e reale di quello che si stabilisce nello spazio. Quello che è necessario per noi è l'atteggiamento di ascolto di accoglienza, i gesti esteriori se restano tali non trasmettono stimoli alla vita, le parole possono muovere l'aria, ma non essere parole di vita.

ESODO 24, 3-8
La prima lettura è tratta dall'esodo, ci descrive il rito sacrificale di un olocausto, che sigilla il patto tra il Signore e Israele avvenuto nella solitudine aspra del Sinai. Dio e l'uomo hanno definito il mutuo desiderio di comunione, di vicinanza, di collaborazione.
Dio offre il dono della libertà e della sua presenza, l'uomo risponde con la sua presenza e fedeltà.
L'altare è il simbolo di Dio, davanti ad esso è raccolto Israele e su entrambi viene versato il sangue del sacrificio, segno di vita e di legame familiare.
Uno stesso sangue, una stessa vita circolano d'ora innanzi tra Dio e il suo primogenito Israele.
Un patto di sangue lega ormai Jahweh e Israele in un'unica esistenza di fedeltà e d'amore.
L'iniziativa è divina e il popolo aderisce: "Quanto il Signore ha ordinato noi lo faremo e lo eseguiremo".
Successivamente, Cristo non celebra in una tenda materiale, ma nel suo corpo glorificato.
Cristo non usa il sangue di capri e vitelli, ma versa il suo stesso sangue.
Cristo non ci offre una liberazione transitoria, ma una "redenzione eterna".
Cristo ci unisce intimamente a Dio.

MARCO 14, 12-16. 22-26
Nel passo di vangelo secondo Marco che leggiamo oggi, troviamo descritta l'ultima volta che il gruppo dei discepoli, dopo tre anni di cammino insieme, giunge con il Signore a Gerusalemme, per la festa di Pasqua.
Gesù si svela. La nuova alleanza viene sigillata non più come sul monte Sinai tra lampi e tuoni, non più come al tempio in liturgie solenni, con il sangue degli agnelli offerto in espiazione, bensì nell'umiltà di un pasto tra amici.
"Prendete, questo è il mio corpo, bevete, questo è il mio sangue, il sangue della nuova alleanza", cioè della rinnovata e definitiva modalità di comunione tra Dio e l'umanità.
Cerchiamo insieme di capire come vivere questo, cosa c'entra nella nostra vita di tutti i giorni.
La persona, ognuno di noi, è relazione, nasce in un intreccio di relazioni.
Noi sbocciamo da un amore, cioè da un rapporto e cresciamo perché ci avvolge un amore di persone che, amandosi fra di loro, creano il clima fecondo che ci consente di crescere.
Questa legge vale non solo per il nostro concepimento e per la nostra nascita, ma resta la legge della nostra esistenza, più cresciamo e più è necessario allargare e approfondire i rapporti, perché abbiamo bisogno di impulsi vitali più intensi.
Non è un dovere, è la condizione della vita, diventiamo viventi secondo le relazioni che stabiliamo.
Ma qual è il fondamento delle nostre relazioni?
Sono i soldi, è l'economia, è il lavoro che possiamo fare insieme, sono le idee comuni, o è altro?
Abbiamo molti strumenti di comunicazione, ma quali sono i nostri atteggiamenti spirituali per usarli?
Chi è più potente impone il suo stile di vita agli altri!
Ognuno tende a pensarsi autosufficiente, a non aver bisogno degli altri per compiere quello che vuole!
Ora vediamo il vangelo: l'ultima cena di Gesù. Come sarà stata? Come l'ha dipinta Leonardo?
Forse, un po' meno romantica.
Da Luca sappiamo che i discepoli discutevano per sapere chi di loro potesse essere considerato il più importante.
Da Giovanni veniamo a conoscenza che Pietro rifiuta di farsi lavare i piedi.
Marco e Matteo ci presentano Giuda che sta calcolando quanto può guadagnare dal tradimento dell'amico e maestro.
E' davvero la notte del fallimento di Gesù!
Pazienza la gente, la folla, i farisei, ma proprio i più vicini, che con lui hanno condiviso giorni e giorni di avvenimenti intrisi di Dio, proprio questi non hanno capito niente del suo messaggio e pensano alla propria carriera!
In questa atmosfera totalmente fallimentare Gesù non si scoraggia.
In mezzo alla più completa incomprensione e ostilità, Gesù aumenta la sua capacità d'amore e ama i suoi discepoli sino all'estremo.
Non rimprovera, non rinfaccia, ma neanche si rassegna e offre loro non dei discorsi, non dei gesti, non dei portenti, ma trasformando il suo amore in dono offre tutto se stesso: "Prendete e mangiate: questo è il mio corpo."
Ai discepoli che sono carenti di vita, invischiati nei loro orizzonti meschini fatti di ambizioni, interessi e rivalità, Gesù dona tutta la sua capacità di amare: quel pane è lui!
Gesù si offre come colui che alimenta e mantiene in vita l'uomo.
Una vita indistruttibile, che non termina con la morte, che è capace di superarla.
Il rapporto col cibo è fondamentale per gli esseri umani, come sostentamento e come segno di unione tra i commensali.
Chi soffre di anoressia è perché non si è sentito stimato, nutrito di affetto dai familiari, si preferisce ridurre il bisogno di cibo per patire meno la mancanza di stima.
La bulimia manifesta il vuoto affettivo da riempire a tutti i costi con qualsiasi surrogato, dal cibo alla droga.
Il pasto che Gesù offre sembra irrisorio: pane e vino, ma comunicano a chi li riceve il suo amore personale da condividere con gli altri.
Se è vero che noi cresciamo e diventiamo sempre più "noi stessi" attraverso le relazioni, quanti "bocconi amari" ingoiamo lungo la vita, senza neanche saperli rifiutare, tanto è forte la sete di essere amati, accettati, costruiti dall'altro!
L'eucarestia è il massimo della relazione, finalmente qualcuno capace di amarci!
Cosa ne deduciamo? Se veramente crediamo in Dio, dobbiamo mostrare nella nostra vita a quale comunione arrivare, una comunione con gli altri simile alla sua.
Il pensiero di Dio per noi, che non coincide con il nostro modo di vedere le cose, ma che possiamo un po' alla volta conoscere, è il nostro compimento, l'obiettivo da raggiungere.
A volte basta un'idea diversa dalla nostra per entrare in crisi in un rapporto, reagire ed essere violenti, siamo stati educati così e non possiamo pensare di cambiare da un giorno all'altro.
Occorre però camminare in questa direzione, in cui noi siamo germe e progetto nella grande assemblea DI TUTTA L'UMANITA', molto più ampia delle nostre piccole assemblee.
Riconosciamo i nostri limiti, sapendo che avremo difficoltà, ma che, aperti all'azione di Dio e al suo amore, un giorno giungeremo ad essere capaci di comunione nuova, universale.

Amici, sapete come faccio io? Quando nell'eucarestia il sacerdote dice:"Questo è il mio corpo...", mi unisco al Cristo e dico anch'io:"Questo è il mio corpo..." e mi offro, poi nel quotidiano cerco e ricomincio in ogni istante, credendo all'azione di Dio più che alla mia.
Un abbraccio a tutti e alla settimana prossima.