Omelia (07-06-2015)
dom Luigi Gioia
Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue

Nel libro dell'Esodo Mosè asperge il popolo con del sangue di animali dichiarando: Ecco il sangue dell'alleanza che il Signore ha concluso con voi. Questa stessa frase si trova nel Nuovo Testamento, pronunciata da Gesù stesso, ma con una variante significativa. Gesù non dice semplicemente: questo è il sangue dell'alleanza. Ma dice: Questo è il mio sangue dell'alleanza. Questa stessa frase ritorna ogni volta che celebriamo l'eucarestia: Questo è il mio sangue. La riflessione teologica, la pietà eucaristica, la devozione personale si sono quasi esclusivamente concentrate sul corpo di Cristo. Sembra che ciò dipenda prima di tutto da ragioni pratiche: il corpo di Cristo sotto le specie del pane si conserva facilmente nel tabernacolo, lo si può esporre per l'adorazione, mentre con il sangue di Cristo sotto le specie del vino è più difficile - c'è sempre il rischio di versarlo e per questo deve essere interamente consumato prima della fine della celebrazione eucaristica. Forse, però, proprio queste caratteristiche del sangue di Cristo sotto le specie del vino possono aiutarci a riflettere sul senso profondo dell'eucarestia, sul senso del gesto di Gesù durante l'ultima cena, sul senso del gesto nei confronti del quale Gesù ci ha affidato la gravissima responsabilità espressa dalle parole Fate questo in memoria di me. Può aiutarci a riflettere soprattutto questo fatto: il vino si versa per essere bevuto e una volta versato nel calice, va consumato subito, altrimenti si rischia di versarlo a terra.
Durante l'ultima cena Gesù non ha detto semplicemente: "Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue", ma ha dichiarato: Questo è il mio corpo, offerto per voi, e Questo è il mio sangue, versato per voi. Ciò vuol dire che il corpo e il sangue di Cristo non sono qualcosa di statico, di bloccato, di circoscritto, qualcosa di cui potremmo disporre a nostro piacimento. Per utilizzare un'immagine, si può dire che l'eucarestia è un fiume che scorre; non un bacino d'acqua ferma, stagnante, ma un fiume che scorre. Anzi, dobbiamo precisare: è un fiume di lava che scorre. Il fiume d'acqua, infatti, anche se si muove, può essere deviato, può essere incanalato, può essere a volte anche disseccato. Il fiume di lava, invece, è inarrestabile, è incontrollabile. Il fiume di lava trasforma in fuoco tutto quello che incontra e lo conduce con sé nel suo corso. E' questa l'immagine più adatta per capire l'eucarestia, per capire la frase Il mio corpo dato per voi; il mio sangue versato per voi: l'eucaristia è un fiume di lava, una realtà inarrestabile, in movimento, che va da qualche parte e che ci trasforma in essa per condurci là dove essa va. Nulla è più triste, nulla danneggia maggiormente il cristianesimo, del drammatico impoverimento della nostra celebrazione eucaristica. Questa celebrazione eucaristica che trattiamo come se fosse un fiumiciattolo di acqua da incanalare, da orientare, da controllare e a volte anche da manipolare. Questa celebrazione eucaristica che adattiamo ai nostri gusti. Questa celebrazione eucaristica che asserviamo, purtroppo, alle nostre battaglie ideologiche. Questa celebrazione eucaristica che talvolta trascuriamo, deturpiamo, con la nostra frettolosità, la noia, l'abitudine, l'incuria. Questa celebrazione eucaristica che, altre volte, soffochiamo, congeliamo, con i nostri estetismi e i nostri rubricismi. Povera eucarestia. Come tutte le realtà umane, è sempre minacciata dal troppo e dal troppo poco. Dal troppo poco, quando la banalizziamo, la accorciamo, la semplifichiamo con il pretesto di renderla più accessibile. Dal troppo, quando invece, con il pretesto di proteggerne il mistero, la avvolgiamo di una sacralità, di uno ieratismo, di un formalismo spesso poco cristiani e sicuramente non evangelici. Stiamo attenti, perché tanto la banalizzazione quanto la sacralizzazione dell'eucarestia sono espressioni della stessa crisi spirituale, della stessa mancanza di fede, dello stesso fondamentale malinteso sul senso autentico dell'eucarestia. Rivelano entrambi la stessa tentazione di manipolare il divino per affermare noi stessi. In fondo, tanto la banalizzazione dell'eucarestia quanto la sua sacralizzazione, tradiscono l'invincibile tendenza idolatra che abita nel nostro cuore.
Allora, invece di fare e disfare intorno all'eucarestia, fermiamoci un attimo. Ritorniamo alle parole di Gesù. Ritorniamo a quello che lui ha fatto. Ritorniamo a quello che lui ci ha ordinato di fare in memoria di lui e chiediamoci: cosa è che Gesù ha fatto nell'ultima cena e cosa è che ci ordina di fare in memoria di lui? Che cosa è "sacro", che cosa è sacrificio non in senso generico, pagano, ma in senso biblico, cioè che cos'è che loda Dio? Che cosa esprime il ringraziamento, l'azione di grazie a Dio? Che cosa unisce a Dio e tra di noi? Quale è il vero cuore dell'eucarestia? In cosa consiste il vero segreto dell'eucarestia? Cosa veniamo a vivere nell'eucarestia? Se non abbiamo subito una risposta a questa domanda, se abbiamo bisogno di cercare, allora forse c'è un problema nella nostra comprensione dell'eucarestia. Allora forse non stiamo facendo memoria di Gesù ma di noi stessi. Allora potremmo scoprire che non stiamo celebrando Gesù, ma noi stessi. Si tratta quindi di una questione gravissima, di una questione che vale la pena di porsi attentamente, per la quale dobbiamo cercare la risposta più autentica. Tale risposta, il vero segreto dell'eucarestia, ciò che forse abbiamo dimenticato, trascurato, oscurato, è chiaramente affermato nel vangelo in Gv 13,1: Prima della festa della Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Ecco ciò che è versato nell'eucarestia. Ecco ciò che riceviamo da Dio e condividiamo tra di noi. Ecco il sacrificio: l'amore. Lo abbiamo dimenticato? La celebrazione eucaristica ha senso solo come esperienza dell'amore del Padre per noi, per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo. La celebrazione eucaristica è autentica solo se questo amore diventa visibile nella nostra assemblea, solo se effettivamente si vede nel modo nel quale cantiamo, nel modo nel quale preghiamo, nel modo nel quale proclamiamo e ascoltiamo la Parola, nel modo nel quale la commentiamo e la meditiamo, nel modo nel quale scambiamo tra di noi il gesto di pace, nel modo nel quale rendiamo grazie al Padre per Cristo, con Cristo e in Cristo. Questo è il senso della frase di Gesù: Questo è il mio sangue dell'alleanza. La nuova alleanza è l'amore che Cristo dimostra sulla croce, è l'amore che lo Spirito versa nei nostri cuori. Non è forse "agape" (amore in greco) uno dei nomi più antichi dell'eucarestia? Non la chiamiamo ancora noi oggi, forse, "comunione", cioè "unione con Dio e tra di noi"? Ecco dunque il solo vero criterio per ogni decisione riguardo al modo di celebrare l'eucarestia, ecco il solo vero sacrificio: questo amore. Ecco la sola sacralità autenticamente cristiana. Ecco la sola riforma liturgica da fare, non prima di tutto cambiando testi, formule, rubriche, ma cambiando i cuori. Ecco il solo vero antidoto alla banalizzazione, alla fretta, alla noia che deturpano la nostra celebrazione dell'eucarestia. Ricordiamoci del monito di Paolo: Sento dire che quando vi radunate per la celebrazione eucaristica, vi sono divisioni tra di voi. Ma attenti, chi mangia e beve senza riconoscere il senso autentico del sacrificio di Cristo, cioè l'amore, mangia e beve la propria condanna. Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, per l'eucarestia, aspettatevi gli uni gli altri. (1Co 11, 33s). Questo aspettatevi è molto importante: potremmo tradurlo così: perciò, quando vi radunate per la cena non andate di fretta, prendete il tempo di assaporare ogni parola, ogni gesto. Quando vi radunate per la cena, aspettatevi cioè accoglietevi gli uni gli altri, consolidate la vostra unità gli uni con gli altri, andate incontro gli uni agli altri. Infine, quando vi radunate per la cena, aspettatevi cioè prendete il tempo di amarvi gli uni gli altri, di manifestare al mondo la vostra comunione gli uni con gli altri. Questo è il solo segno grazie al quale saremo riconosciuti dal mondo come discepoli di Cristo.