Omelia (07-06-2015) |
don Luca Garbinetto |
Prendete, questo è il mio corpo! A pensarci bene, se c'è qualcuno che avrebbe potuto legittimamente decidere di appropriarsi di sé e di tenersi stretto per sé ciò che è e ciò che ha, questo qualcuno sarebbe solamente Dio! Egli è l'Onnipotente, l'Altissimo, il Creatore di tutte le cose. Che cosa, dunque, gli impedirebbe di esercitare la sua autorevole supremazia sul mondo e sull'uomo decidendo di gestire per sé quello che Egli è? Paradossalmente, invece, noi scopriamo sempre più un Dio che di sé ha voluto spogliarsi ed espropriarsi, per donarsi a noi, piccole sue creature. Questa logica di Dio impressiona! Ha voluto darsi, lasciando spazio di sé affinché l'uomo esista e viva. E quando questo spazio l'uomo lo ha acquisito con atteggiamento egocentrico, pretendendo di essere Dio al suo posto, Egli di nuovo ha scelto di donarsi. Così è venuto a mescolarsi in mezzo ‘ai suoi', assumendo un corpo, che esprime più di ogni altra cosa il limite e il confine in cui esistono le sue creature. Il corpo è dimensione costitutiva, ‘habitat' necessario per essere uomini qui, su questa terra. Il corpo è strumento di approccio e di relazione, primo tramite per incontrare l'altro. Il corpo è fisicità, è l'esercizio dei sensi, è concretezza: si vede, si tocca, si ode, si odora. Il corpo si bacia e può baciare. Tutto questo, Dio l'ha assunto in sé, facendosi uguale alla sua creatura. Tranne nel modo di gestire questo tabernacolo della grazia che è il corpo. In Gesù, infatti, Dio ha manifestato la sua donazione offrendo ai suoi anche il suo corpo e il suo sangue. Anche la carne fragile del Maestro è divenuta oggetto di espropriazione, e mai Gesù ha voluto esercitare il diritto al possesso. Perché in Lui tutto si integra nella logica sconvolgente del dono. Ci troviamo così, oggi, a poter vedere, toccare, gustare ancora il Corpo del Signore. Non in una esperienza puramente materialista, quasi molecolare. Piuttosto, lo percepiamo presente e donato a noi soltanto se anche noi accettiamo di non possedere, di non gestire tutto, e di entrare nella logica del dono gratuito di sé. Questa è l'Eucaristia: una sorgente di vita donata, perché frutto maturo della Vita donata. Dall'Eucaristia ‘prendiamo' ciò che ci è necessario per vivere. Un nutrimento fisico, che diviene spirituale e ci fa assaporare il gusto della carne di Cristo: sa di offerta! Il pane divenuto corpo e il vino diventato sangue sono presenza tangibile della logica dell'amore. Chi infatti pretende di comprendere con la testa o di controllare con il ragionamento, perde di vista il senso profondo dell'essere Corpo di Cristo. Che è appunto la spogliazione dalla pretesa di possedere. Gesù non ci ha solo indicato la strada della consegna per amore, praticandola per primo. Egli ci rende anche capaci di seguirlo in questa via di autentica realizzazione, attraverso la condivisione di sé nell'Eucaristia. Se accettiamo che Egli si da a noi realmente, ma senza presumere di incasellarlo nei nostri schemi materialisti, allora impariamo a contemplare anche il nostro stesso corpo e la nostra stessa fisicità - abitata dallo Spirito - come dono da ricevere piuttosto che come oggetto da possedere e usare. Quanto dolore, mascherato di illusione, genera oggi l'affannosa corsa a voler abusare delle risorse limitate del nostro corpo, a manipolare la vita che scorre nelle cellule della carne nostra e altrui, a insinuare freneticamente il superamento di ogni confine naturalmente impostoci dalla nostra fisicità! Oltre ogni singola e complessa questione etica, va ribadito che noi siamo dono a noi stessi, che il corpo è ricevuto come grazia e come peso, che l'intera persona, in anima e carne, è prezioso regalo del Cielo da accogliere, non da sfruttare. La solennità del Corpo e Sangue del nostro Signore Gesù Cristo ci interpella oggi a uno sguardo più profondo e intimo sulle realtà così quotidiane e coinvolgenti della nostra affettività, dei nostri sentimenti, delle nostre relazioni, che necessariamente interpellano la nostra fisicità, e quella di ogni persona, piccola o grande che sia. ‘Prendete, questo è il mio corpo... questo è il mio sangue...': sono le formule di un'alleanza, non di una costrizione. Dio offre tutto se stesso, anche la povertà assunta in sé nell'Incarnazione, perché soltanto nella logica della spogliazione da sé trova fissa dimora il patto d'amore tra Lui e noi. La stessa disponibilità a ‘perdersi' perché l'altro abbia vita è l'autentica vocazione eucaristica che rende saldo il rapporto tra due persone. |