Omelia (14-06-2015) |
mons. Roberto Brunelli |
Il regno è nascosto nella vita quotidiana Dopo l'intervallo delle celebrazioni pasquali, con questa domenica riprende la lettura del vangelo secondo Marco, e riprende con un brano (4,26-34) relativo a un tema ricorrente nella Sacra Scrittura: il regno di Dio. Come fa di solito, Gesù ne parla non con ragionamenti elaborati, con parole sapienti, ma mediante due parabole, due esempi facili, semplici, alla portata di tutti. In effetti si nota una sproporzione tra la profondità dell'argomento e la semplicità con cui egli lo tratta: è un segno del suo amore per tutti gli uomini, la possibilità offerta appunto a tutti di intuire "le cose di Dio". Non più che intuire: neppure i più intelligenti e dotti possono capire Dio fino in fondo (significherebbe che sono uguali a lui); d'altro canto egli sarebbe ingiusto se facesse differenze tra i suoi figli, escludendo qualcuno dalla possibilità di accostare a lui la mente e il cuore: la mente, cioè l'intelligenza per capire, e il cuore, per rispondere all'amore che egli per primo ci rivolge. La prima delle due parabole è formulata in questi termini: "Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce: come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura". L'agricoltore semina, così come sul piano spirituale hanno fatto tanti annunciatori del vangelo; e come questi ultimi anche lui una volta seminato non sa che cosa succeda, quale esito possa avere il suo lavoro; può solo rallegrarsi quando vede il raccolto abbondante. La seconda: il regno di Dio "è come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell'orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra". Anche qui, Gesù richiama un fatto cui non si bada: nella coltivazione dei campi sorprende la sproporzione tra la pochezza degli inizi (addirittura l'apparente insignificanza del quasi invisibile seme di senapa) e la ricchezza degli esiti. E così, dice il Maestro, accade per il regno di Dio: ben piccola cosa, agli inizi, ma dotata di una forza vitale senza paragoni, che l'ha portato a un'ampiezza incommensurabile. Il regno di Dio, sarà bene ricordarlo, non ha nulla in comune con i regni e le repubbliche di questo mondo: è l'insieme di quanti riconoscono Dio come il creatore e signore del cielo e della terra, che ama gli uomini, tutti gli uomini, di un amore tanto grande da sacrificare il suo stesso Figlio. Questa rivelazione, fatta da Dio stesso, ha una forza prorompente: con Gesù i credenti erano un piccolo numero; ora non si contano, e sono in continuo aumento, pur se abitualmente la crescita avviene - come quella dei semi - nel silenzio. A questo proposito, nell'omelia della Messa di qualche giorno fa il papa Francesco ha ricordato che il regno di Dio cresce ogni giorno grazie a chi lo testimonia senza fare "rumore", pregando e vivendo con fede i suoi impegni in famiglia, al lavoro, nella sua comunità di appartenenza. "Quando uno pensa alla perseveranza di tanti cristiani, uomini e donne che portano avanti la famiglia, curano i figli e i nonni, magari arrivano alla fine del mese con mezzo euro soltanto, ma pregano, è lì il regno di Dio, nascosto nella santità della vita d'ogni giorno". Questo richiamo all'umiltà del quotidiano sembra inadatto alla grandezza di una realtà come quella del regno di Dio. Ma non è così: lo stesso Gesù ci ha insegnato a unire nella preghiera al Padre che venga il suo regno e insieme che ci dia il pane. Il semplice e il grandioso, l'umile e il sublime, nelle cose di Dio non conoscono differenza: tutto è bene, tutto è grazia quello che egli vuole per noi. |