Omelia (21-06-2015) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Darvi un senso per sopravvivere "Dov'era Dio?" Questa è la domanda ricorrente che ci si pone tutte le volte che si fa riferimento al terribile evento di Auschwitz, dove tanti prigionieri erano costretti a vedere i loro compagni morire impiccati e dove si consumava l'eccidio più terribile della storia umana. Domanda che continuamente ci si pone in presenza della morte truculenta di vittime innocente di stragi e di assassinii barbari e atroci, che costituiscono in effetti una sfida alla fede perché pongono il problema della conciliazione fra un Dio Giusto, Buono e Onnipotente e la presenza dilagante del male nel mondo. Anche Bonheffer, teologo evangelico morto ucciso in un lager nazista, definiva queste esperienze di terrore "il silenzio di Dio." E anche ai nostri giorni saremmo tentati di recriminare nei confronti dell'Altissimo, mentre apprendiamo di cristiani o "infedeli" trucidati, arsi vivi o decapitati a sangue freddo dai miliziani dell'Isis che giocano a palla con la loro testa. Possibile che Dio consenta tanto orrore? Possibile che Dio voglia la sofferenza dei giusti? In realtà anche il Salmista si poneva questo interrogativo osservando come solamente i pii e i giusti fossero costretti a subire e a piangere mentre i perversi e i malvagi ottenevano questo e altro quanto a favori, vantaggi e benemerenze: "Non conoscono l'affanno dei mortali e non sono colpiti come gli altri uomini". (Sal 72, 5) E in generale in tutta la Scrittura il dolore del giusto è motivo di scandalo e di atroce turbamento e pone sempre la stessa questione ricorrente, anche se in termini differenti: "Perché a me proprio questo'" La risposta alla domanda "dov'era (e dov'è) Dio è possibile solo se ci si pone il problema del senso della sofferenza e della malattia. Cioè: qual è' il senso del dolore, dell'ingiustizia, del male dilagante nel mondo? Interpretata come fuga dal male e tentativo di alienazione dalle ingiustizie e dalla sofferenze, la religione veniva interpretata da Marx come "il pianto del popolo oppresso, l'anima di un mondo senza cuore, l'oppio di un popolo" perché procaccerebbe l'illusione di trovare al di fuori del mondo la consolazione o il sollievo che in questo mondo è difficile trovare. Secondo Marx, nella religione l'uomo troverebbe una fuga dal dolore e dall'ingiustizia. Ma prescindendo dall'attendibilità di questa affermazione, il pensiero di questo filosofo non ha certo dato esiti positivi intorno alla domanda sul dolore: perché esiste e come combatterlo? Lo psicologo Frankl (citato da Anselm Grun) in forza della sua esperienza personale affermava che solo cercando di dare un significato alla sofferenza è possibile sopravvivere davanti alla realtà disacerbante del male. Diceva: "Questo significato infinito dell'esistenza include in sé anche la sofferenza e l'agonia, la necessità e la morte... in questa sofferenza smisurata non conta mai cosa noi dobbiamo aspettarci dalla vita, ma cosa la vita può aspettarsi da noi." Ragion per cui è necessario attribuire un senso alla prova e alla sofferenza. Anche se al di fuori della religione, questo autore ha l'intuizione che dolore e sofferenza si devono soffrire per amore degli altri, li si deve sopportare per consacrare noi stessi alle persone che amiamo, per essere loro di aiuto e di sostegno, o almeno per essere per loro esempio di speranza attraverso il nostro stesso dolore. Un'intuizione laica che sa di vangelo. Occorre effettivamente che nel dolore e nell'atrocità delle ingiustizie e delle sopraffazioni troviamo qualcosa che ci sproni all'accettazione di tutto questo, motivandoci alla sopportazione e alla pazienza. Concepire il dolore e la sofferenza come occasione per orientarci, in un modo o nell'altro, al prossimo considerando coloro che amiamo è già un grande traguardo raggiunto. Credere di poter sopportare ogni sevizia per il bene degli altri è all'origine del vantaggio psicologico. Nella Bibbia di dolore immeritato e di sofferenza si parla tantissimo, ma su quale senso attribuire e queste realtà secondo la logica della rivelazione di Dio forse solamente il libro di Giobbe (da cui è tratta la prima Lettura) e il messaggio e la figura di Gesù Figlio di Dio sono davvero pertinenti. Nel testo del libro di Giobbe, che per consenso del Signore il diavolo sta tormentando fino all'estremo con la prova e con il dolore, vi è un dialogo fra questi e quattro amici, i quali insistono nell'affermare che le piaghe lancinanti recate da Giobbe si devono ad una colpa commessa da lui o da qualche suo progenitore. Era concezione antica infatti che la sofferenza fosse la conseguenza punitiva di un male commesso. Giobbe rifiuta questa interpretazione e si rammarica con Dio quasi in atto di sfida. Il Signore gli appare nel "turbine" e gli pone innanzi la sua insufficienza, mostrandogli finalmente come la sofferenza sia semplicemente una visita di Dio che vuole fortificare l'uomo e rinsaldarlo nella comunione con sé. Convinto e risoluto, Giobbe viene guarito e premiato con migliaia di capi di bestiame, sette figli e tre figlie. Il senso del dolore in Giobbe si risolve come l'opportunità della comunione con Dio, l'occasione in cui possiamo avvertire Dio prossimo a noi, la quale si manifesta così molto più di quando ci troviamo nella prosperità e nella salute piena. Per quanto possa sembrare inverosimile, tanta gente sperimenta la propria possibilità di fede nel Signore proprio nell'esperienza dell'angoscia e del dolore. Nelle tristi circostanze infatti è possibile avvertire come di fronte al Mistero dell'Assoluto noi siamo sempre limitati e insufficienti e come la soluzione dei problemi non dipende affatto dalle nostre sole capacità. Nel dolore si riscontra la presenza di un Dio che, secondo il detto di uno scrittore ebraico "è appeso ad una forca" come gli impiccati che lo invocano. Nei quattro vangeli Gesù Figlio di Dio ci aiuta a dare un senso alla sofferenza nelle stesse sue opere di misericordia verso i deboli e gli ammalati, i quali sono oggetto della sua speciale predilezione perché destinatari della vicinanza di Dio Padre che è Amore. La sofferenza diventa quindi luogo di incontro fra Dio e il povero, motivo di comunione con lui e incitamento alla fiducia, al coraggio, alla speranza. Gesù ci chiede poi di interpretare il dolore come occasione di partecipazione al suo mistero di salvezza, poiché nella sofferenza fisica di un solo uomo egli rinnova il mistero della sua croce che redime e salva l'umanità intera. In questa prospettiva allora il dolore e la sofferenza assumono il significato di concretezza d'amore per gli altri e diventano un giogo leggero e possibile perché ci ragguagliano del fatto che, consacrando il nostro dolore a Dio, ci rendiamo missionari di salvezza e di redenzione, completando il mistero dell'amore di Cristo. Nell'accettazione della sofferenza, come pure del dolore e delle varie ingiustizie, siamo resi partecipi delle sofferenze di Cristo per il riscatto dell'umanità, ma veniamo introdotti anche nella prospettiva della gloria. "Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, il pericolo, l'angoscia, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori in virtù di colui che ci ha amati", osserva Paolo, esprimendo la convinzione che il patire di Cristo diventerà per noi motivo di gioia e di vittoria: se con Cristo moriamo, con Cristo siamo destinati a risorgere. il senso cristiano del dolore lo scopre nella fede di Dio crocifisso e risorto che vuole avvicinarci a sé nella prova non per tormentarci o per deprimerci, ma per chiamarci a quella comunione intima con sé che non riusciremmo a realizzare nella prosperità e nel bene. E la comunione con Dio allevia il nostro dolore, lo rende impotente o meno lancinante e lo mette alla portata della nostra sopportazione. La sofferenza ci fortifica e ci plasma sul modello della croce, ma non è destinata al solo supplizio: essa si tramuterà per noi nella gioia e nel gusto della vittoria. Seppure tardivo il frutto della gloria è assicurato nella misura con cui con fede non si soccombe all'idea dell'abbandono. Osserviamo tuttavia nel brano evangelico odierno che Gesù placa i flutti del mare in agitazione e seda la tempesta, rasserenando i concitati e terrorizzati apostoli che sulla barca tentavano il tutto e per tutto per non finire in acqua. Sembrerebbe che questo episodio sia ben lungi dal tema che stiamo ora trattando. Ma occorre considerare che esso non è l'unico racconto biblico in cui Dio interviene sul mare per apportare un aiuto. Nel libro di Giosuè avviene infatti che i sacerdoti che conducono di peso l'Arca dell'Alleanza accompagnati dal popolo intero degli Israeliti raggiungono il fiume Giordano in piena. Non appena però le piante dei loro piedi ne toccano le acque, si dischiude davanti a loro un estesissimo sentiero all'asciutto, poiché le acque fluviali che giungono da nord si trattengono formando un argine compatto e quelle provenienti da sud svaniscono quasi del tutto. I sacerdoti con l'arca possono fermarsi anche nel bel mezzo del Giordano senza essere raggiunti da una goccia d'acqua e anche il popolo intero può attraversare lo spazio del fiume all'asciutto. (Gs 3, 7 - 17). Episodio analogo è il famoso passaggio del mar Rosso mentre il popolo è inseguito dai minacciosi carri e cavalli degli Egiziani: gli Israeliti passano all'asciutto mentre le acque a destra e sinistra formano una muraglia e non appena raggiungono l'altra riva esse tornano a defluire nella forma originale travolgendo e disperdendo i nemici Egiziani. (Es 14 - 15). In questi come in altri casi, Dio protegge il suo popolo dai pericoli delle acque naturali. Dimostra la sua sollecitudine intervenendo nelle circostanze rischiose o in presenza di un pericolo imminente, mostrandosi così alleato vicino di chi soffre, lotta, ansima continuando a sperare in Lui. Dio sostiene chi affronta le prove e i dolori con il cuore umile e risoluto nei suoi confronti. Dona forza, coraggio, sostegno in presenza di fortunali e di tempeste minacciose nella nostra vita e non manca mai di dare il giusto riconoscimento a quanti persistono nella fede in lui. Nella prova e nel dolore, nella solitudine e nell'abbandono che si provano quando si è umiliati e soli, nello sconforto e nel disanimo quando la vita non vuole premiare i nostri meriti, Dio in Cristo ci rassicura della sua assistenza della sua vicinanza, soprattutto perché rinnova in noi il dolore dei suoi patimenti di croce. Dando così un senso alla sofferenza che ci aiuti a sopravvivere. |