Omelia (21-06-2015) |
padre Antonio Rungi |
La tempesta della vita, calmata dalla presenza di Cristo Il vangelo di oggi ci presenta uno dei passi più belli di quanto troviamo scritto sulla vita di Gesù ed uno dei momenti più significativi del gruppo dei discepoli del Signore, che lo seguono per terra e per mare, molte volte in modo incosciente, senza rendersi conto dei rischi della vita. Oggi il brano del vangelo della tempesta sedata da Cristo, ci porta quasi istintivamente a pensare alle varie tempeste di ogni genere della nostra vita che possono essere e sono calmate solo meditante l'intervento di Dio, al quale dobbiamo rivolgerci con la fiducia e la fede necessaria. Senza questa fede che fa i miracoli, tutto quello che chiediamo non giunge a buon esito, ma si ferma lungo le strade delle nostre umane attese e speranze, che non possono avere compimento senza l'intervento dall'alto. Il messaggio è chiaro. Senza Dio non possiamo fare nulla, non possiamo salvarci da nulla e neppure dalla forza della natura. Lo costatiamo ogni volta che nel mondo succedono fatti drammatici, come terremoti, maremoti, tsunami, catastrofi naturali di ogni genere, che seminano distruzione e morte dovunque. L'esperienza degli apostoli fatta con Gesù sulla barca in quella notte tranquilla inizialmente e poi drammatica di lì a poco, ci aiuta a capire come cambiano facilmente gli scenari della nostra vita personale e degli altri e come cambia repentinamente la storia del mondo. Siamo davvero come si dice in gergo comune sotto il cielo e nessuno di noi può effettivamente ritenersi superiore a Dio. Chi pensa di esserlo illude se stesso ed illude chi crede in lui. Solo Dio è la nostra salvezza, come hanno sperimentato gli apostoli in quella notte terribile, vicini allo stesso Gesù che pure stava con loro e meravigliato della loro mancanza di fede e di fiducia il Lui, chiede: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». La mancanza di fede genera nell'uomo la paura di ogni cosa e soprattutto la paura di morire in modo innaturale, in modo violento. Questa paura gli apostoli l'avvertono quella sera davanti alla terribile tempesta d mare: «Maestro, non t'importa che siamo perduti?». Ma Gesù, anche in questa circostanza, dimostra la sua bontà e la sua misericordia verso quelle persone impaurite e tremanti per il terrore di fine in fondo al mare. Allora lo svegliarono. Ed Egli si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. E' quello che succede ogni volta ci affidiamo a Dio: dal dramma nasce la speranza, la gioia e la felicità, dalla morte si passa a vivere, a continuare a vivere, anche se le tempeste ritorneranno e allora si dovranno affrontare con una fede più grande e forte. Credere nella potenza di Dio e del suo Cristo, è il primo passo verso una fede fiducioso e fiduciale, che non ammette tentennamenti, anche davanti alle prove più terribili della vita, che può essere una malattia, una morte improvviso, un crollo economico o altre forme di prove a cui gli uomini di sempre sono soggetti, proprio per la debolezza umana e per la precarietà dell'esistenza terrena. La consapevolezza che in Cristo, con Cristo e per Cristo le cose cambiano della nostra vita, ci porta a far tesoro di quanto ci scrive l'apostolo Paolo nel brano della sua seconda lettera ai Corinti, che ascoltiamo come secondo brano biblico della domenica. In Cristo siamo creature nuove e non abbiamo paura di nulla. Tutto il passato, anche terribile della nostra ed altrui vita lo poniamo alle spalle e guardiamo avanti nella speranza del il meglio e non il peggio deve venire. Se non altro, se pensiamo seriamente all'eternità, al cielo e al paradiso il meglio davvero deve arrivare ed arriverà se noi valorizziamo il tempo che il Signore ci ha donato in questa vita proprio per costruire la casa futura di tutti, che è il paradiso. La nostra preghiera, oggi e sempre, deve essere questa: "Rendi salda, o Signore, la fede del popolo cristiano, perché non ci esaltiamo nel successo, non ci abbattiamo nelle tempeste, ma in ogni evento riconosciamo che tu sei presente e ci accompagni nel cammino della storia". Non ci abbattiamo mai difronte alle tante delusioni della nostra vita, ma abbiamo fiducia nel Signore, come ci ricorda il libro di Giobbe, esempio di santa rassegnazione e pazienza, nel testo della prima lettura della liturgia della parola di questa XII domenica. Dio è tutto e può far tutto, come di fatto ha realizzato e continua a fare nella storia di questa debole e fragile umanità. Il salmo 106, che oggi leggiamo come salmo responsoriale della messa, ci fa una sintesi di quanto è detto nella parola di Dio di questo giorno santo, dedicato al Signore: "Coloro che scendevano in mare sulle navi e commerciavano sulle grandi acque, videro le opere del Signore e le sue meraviglie nel mare profondo. Egli parlò e scatenò un vento burrascoso, che fece alzare le onde: salivano fino al cielo, scendevano negli abissi; si sentivano venir meno nel pericolo. Nell'angustia gridarono al Signore, ed egli li fece uscire dalle loro angosce. La tempesta fu ridotta al silenzio, tacquero le onde del mare. Al vedere la bonaccia essi gioirono, ed egli li condusse al porto sospirato. Ringrazino il Signore per il suo amore, per le sue meraviglie a favore degli uomini". Gridiamo con sempre maggiore forza al Signore la nostra sincera volontà di accogliere la sua parola e di metterla in pratica, facendola fruttificare per i granai del Regno dei cieli, dove saremo trasferiti per sempre alla fine dei nostri giorni, per vivere per sempre con il Signore, lontani dagli intrighi e le sofferenze del mondo. Il Signore ci conceda, fin d'ora, la gioia di assaporare l'incontro con Lui su questa terra, mediante la devota e sentita partecipazione al banchetto eucaristico, che alimento e sostegno nel cammino della nostra vita, in qualsiasi istante del suo natura, umano, biologico e spirituale sviluppo, che per tutti, ci auguriamo, possa essere di grande gioia e soprattutto di ricchezza spirituale ed interiore. |