Omelia (21-06-2015) |
Carla Sprinzeles |
Commento su Gb 38,1.8-11; Mc 4,35-41 Il tempo ordinario, per noi è quello del nostro quotidiano. La nostra vita, oserei dire che è più ordinaria, più fatta di cose quotidiane che di eventi eccezionali: è nel quotidiniano che occorre imparare ad abitare, standoci bene! L'argomento che la liturgia affronta oggi direi che ci tocca molto da vicino. Pensiamo davvero che ci sia una provvidenza che veglia su questa nostra vicenda umana? Come affrontare le paure quotidiane? La nostra barca fa acqua, viviamo sull'orlo della precarietà: c'è una paura cosmica, la vita è minacciata nelle sue radici! Come conciliare un Dio che si prende cura di noi? GIOBBE 38, 1,8-11 La prima lettura, per affrontare questo tema, non poteva che essere tratta dal libro di Giobbe. Il mondo di Giobbe è quello della sofferenza assurda e ingiustificata, un mondo in cui Dio sembra assente. Perché dare la vita a una persona per poi perseguitarla e farla soffrire? Sembra che Dio si accanisca con la propria creatura! Dio, quando vede che per Giobbe è importante sapere cosa pensa, risponde. Dio prende per mano Giobbe e gli fa visitare l'universo, gli fa notare che lui, uomo, non era presente quando Dio ha creato l'universo, mentre Dio era presente! Dio è il primo a combattere l'assurdità e l'ingiustizia! Dio è presente nella ribellione di Giobbe. Dio non spiega a Giobbe perché soffre. Gli dice solo che Dio sta dalla sua parte. La creazione non è finita, sta avvenendo, è questo il punto per cui cade la domanda sul perché l'uomo soffre, la creazione è ancora nelle doglie del parto, ma Dio si schiera accanto a Giobbe, si schiera con Giobbe contro l'ingiustizia. Dio lotta contro le forze del caos e chiunque si ribella contro il disordine di questo mondo deve sapere che questa ribellione viene, in realtà, da Dio. Quindi quando ci chiediamo, come mai Dio non fa niente per le persone che soffrono, sappiamo che non è vero, Dio ha fatto noi, che possiamo prenderci cura gli uni degli altri. Dio non è da capire con il nostro intelletto, ma è da trovare nei nostri sentimenti più genuini, come la felicità gratuita e la ribellione contro l'ingiustizia. MARCO 4, 35-41 Il passo del vangelo secondo Marco che leggiamo oggi, è da centellinare perché Marco è molto sintetico, ma ogni parola che usa ha un suo motivo di essere. "In quel giorno, venuta la sera, disse loro: passiamo all'altra riva". La sera è un tempo che comprende la fine della giornata, ma il domani è ancora lontano. E' un tempo di passaggio, di riposo. E' un tempo in cui perdiamo il controllo delle cose, agiscono altre forze, che non dipendono da noi. Gesù però in questo momento di sosta, invita a mettere in acqua la barca. Non dev'essere stato rassicurante Gesù, con questo invito. "Passare all'altra riva" poi vuol dire andare dove Gesù e gli apostoli non erano conosciuti. "Lasciata la folla, lo presero con sé così com'era", ossia non lo presero secondo l'immagine che ne dava la folla, ma così com'era. La barca di Pietro non è sola, in realtà ci sono altre barche, che non hanno a bordo il Signore. Poi viene descritta la scena: vento in gran quantità e l'acqua che inizia a riempire la barca. Le bufere non sono evitabili. La differenza sta nella reazione che si ha di fronte alla bufera, alla paura di morire! L'immagine del Signore che se ne sta a poppa, sul cuscino e dorme, è splendida. Qui Gesù è l'immagine perfetta di chi non ha una preoccupzione di governo delle cose, anzi, se ne sta tranquillo sul cuscino e dorme. E' sera, è tempo di dormire, di mollare il governo, e il Signore dorme. Forse per godersi il viaggio che è la vita, bisogna imparare a dormire nelle tempeste, per lo meno quelle che avvengono di notte. Molte volte noi passiamo di tempesta in tempesta e non molliamo mai il governo delle cose, e raramente ci godiamo il viaggio dell'esistenza. "Maestro non t'importa che muoriamo?". La domanda degli apostoli è un'esperienza comune a molti: perché Dio c'è e tace? Il silenzio, in questo caso, è un'attesa che la tempesta interiore finisca per poter dire una cosa vera. Gli apostoli non chiedono di essere salvati, ma: "Non t'importa?". Sembra che occorra sempre agitarsi, essere preoccupati, anche se a volte è inutile rispetto al problema in atto. Gesù segue una logica completamente diversa da quella degli apostoli. Si rivolge al mare con severità, ordinando di fare meno confusione! Gesù parla e le cose accadono. Poi si rivolge agli apostoli: "Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?" E furono presi da grande timore: non era ancora passata la paura della tempesta, che appare una nuova paura. Ma allora chiediamoci: in noi, ha il primato la fede o la paura? Il centro della questione è che lui non smette di credere in noi! La vera questione è abitare una vita che stia lì, a fianco del Signore, che a volte dorme e a volte è sveglio, ma è lì con noi, così com'è. Le nostre paure possono nascere da una visione troppo volontaristica del cristianesimo, non siamo soli, la nostra vita è con Gesù, così com'è, anche quando dorme sul cuscino e usa logiche diverse da quelle che ci aspettiamo. La paura non è il criterio per misurare la fede, si può avere paura o non averla. Occorre imparare a dormire nelle tempeste, stare sul cuscino, gustarci il viaggio della vita. Con Gesù tutto assume significato, ma noi, come gli apostoli, siamo legati al contingente, senza saper scendere nell'interiorità dove il senso si rivela. L'inevitabile dolore, legato al travaglio dell'umanità in cammino verso l'amore, non viene da Dio, non è voluto da lui. Dal grande utero del mare, che in tempesta rischia di diventare un sepolcro, devono rinascere uomini nuovi. Il timore nasce quando non si crede nella vita, che scaturisce in abbondanza da ogni morte. Gesù vuole che noi muoriamo all'apparenza, per introdurci alla vita vera dell'amore. Cristo vuole liberarci dall'assillo del momento per farci vivere già ora, attraverso la fede, nel Regno che è dentro di noi! Non mi rimane che esercitarmi insieme a voi in questa calda estate a vivere la vita e a scendere nell'interiorità fatta anche di silenzi in compagnia di Gesù, che è con noi, così com'è. |