Omelia (21-06-2015) |
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COMMENTO ALLE LETTURE Commento a cura di don Davide Arcangeli Il mare nel mondo biblico rappresenta le forze caotiche del cosmo e del mondo. La creazione è come un parto, in cui queste forze sono ordinate al bene perché Dio pone ad esse un limite, con la sua Parola. Giobbe medita su questa parola creatrice di Dio che dice: "Fin qui giungerai e non oltre e qui s'infrangerà l'orgoglio delle tue onde"». C'è tuttavia un peccato umano che rimette in disordini questi limiti, distrugge le differenze e rimette in libertà forze che divengono così anticreazionali. È il caso del diluvio biblico, frutto del peccato e della malvagità stessa dell'uomo. Anche il tempo attuale dell'uomo, con uno sviluppo industriale e tecnologico senza precedenti ha messo in gioco fortemente la capacità dell'uomo di prevedere il suo futuro e le potenzialità della sua stessa sopravvivenza sul pianeta terra. Le risorse economiche, nonostante la potente leva finanziaria, non sono infinite, perché dipendono dagli equilibri ecologici e il disequilibrio che noi chiamiamo inquinamento non è altro che il prodotto del prevalere di interessi di parte sul bene di tutti e di ciascuno, in fondo del peccato. Siamo la generazione del diluvio e il nostro diluvio non è soltanto caratterizzato da un clima impazzito con fenomeni sempre più violenti e concentrati nel tempo, ma è anche segnato da squilibri demografici e economici tali da spingere intere popolazioni a migrare, in cerca della propria sopravvivenza, da zone dove malnutrizione, sottosviluppo e instabilità politica rendono difficile guardare con serenità al proprio futuro e a quello dei propri figli. La catastrofe, intesa come una profonda trasformazione della nostra società, con la creazione di nuovi equilibri, speriamo più stabili e rispettosi della dignità umana, sembra essere alle porte. Come discepoli del Signore siamo chiamati a stare con fede nella barca dove il Signore Gesù dorme. Abbiamo paura, siamo disorientati, non sappiamo come risolvere gli enormi problemi storici che le generazioni precedenti ci hanno consegnato. Serve un surplus di intelligenza, ragionevolezza, responsabilità, ma serve anche un surplus di fede, per non lasciarsi andare ad un grido scomposto: "Maestro, non ti importa che moriamo?". Gridiamo pure, se vogliamo, ma con fede, al nostro maestro. Esprimiamo a lui le nostre paure, gettiamole nelle sue mani, abbandoniamoci a Lui, alla potenza della sua parola, che eguaglia la Parola stessa della creazione, Colei che fin dapprincipio mette un limite al caos: "Taci, calmati"! La Parola di Dio, di questo maestro morto e risorto per noi, annuncia una forza superiore a quelle umane e a quelle cosmiche, una forza che si rivela pienamente nella debolezza della croce, la sola che potrà rivelare l'identità di colui al quale il vento e il mare obbediscono. Ciascuno di noi, a partire dall'esercizio responsabile della sua libertà quotidiana, in famiglia e al lavoro, dallo smaltimento dei rifiuti all'acquisto di beni, fino al diritto/dovere di votare alle elezioni e al modo con cui esprime in pubblico opinioni e valutazioni, può diffondere odio, ansia, rabbia, disordine oppure ordine, accoglienza, pace. Ricordiamoci della parola del Signore, che sia di guida ad ogni discepolo di Gesù: "c'è più gioia nel dare che nel ricevere!" |