Omelia (21-06-2015) |
mons. Roberto Brunelli |
Un'enciclica per salvare il pianeta L'episodio evangelico di oggi (Marco 4,35-41) si colloca a breve distanza dagli esordi della vita pubblica di Gesù, ma già dopo fatti clamorosi: egli ha risanato un indemoniato (cioè, probabilmente, un epilettico), ha guarito e perdonato i peccati del paralitico calato dal tetto, ciechi e zoppi e innumerevoli altri malati erano ricorsi a lui e non ne erano rimasti delusi. Eccolo ora compiere qualcosa di nuovo. Per tutto il giorno, sulle rive del lago di Tiberiade, egli ha parlato alla folla accorsa attorno a lui: tanta, da suggerirgli di rivolgersi loro da una barca ormeggiata presso la sponda; al tramonto poi congeda i suoi ascoltatori e dice ai discepoli di traghettare sulla riva opposta. Nel linguaggio corrente allora il lago era chiamato "mare di Galilea", anche perché del mare assume talora l'aspetto minaccioso; chi è stato da quelle parti sa che il lago, solitamente placido, certe sere è investito all'improvviso da un vento impetuoso, capace di sollevare onde preoccupanti. Anche quella volta "ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: Maestro, non t'importa che siamo perduti?" A quel punto, ecco il prodigio: poche parole, un gesto imperioso e "il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: Perché avete paura? Non avete ancora fede?" La loro reazione ("Furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?") dice che i discepoli si erano stupiti per la novità di quel gesto; non avevano saputo collocarlo sulla scia dei precedenti. Dai numerosi miracoli cui avevano assistito, i discepoli avrebbero dovuto capire che il loro Maestro non era un uomo come gli altri; egli aveva poteri straordinari, e li usava non per farsene vanto, o per stupire, ma sempre e soltanto a beneficio di chi poteva trarne giovamento. Dunque avrebbero dovuto avere fiducia in lui, cioè avere fede. Le sue parole sottintendono che non si deve avere paura, nelle tempeste che si scatenano dentro o intorno a noi, perché egli non abbandona chi si affida a lui. La necessità della fede è l'insegnamento essenziale di questo episodio; anche se si trovasse nella bufera, chi guarda alla vita come lui ha insegnato, qualunque cosa capiti ne salverà sempre l'essenziale, non farà mai naufragio. Chi è dunque costui? Alla domanda di quei primi discepoli si può rispondere: egli è l'Emmanuele, il Dio-con-noi. E, aggiunge San Paolo, se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? La salvezza assicurata a chi crede è quella essenziale, la vita eterna. Ma già in questa vita se ne hanno clamorosi esempi, in positivo e in negativo. In negativo: quante vite fanno naufragio, in mancanza di fede; quanti, seguendo vie diverse da quelle da lui prospettate, rovinano se stessi e seminano rovine intorno a sé! In positivo: quanti, fidandosi di lui, non hanno conseguito fama o ricchezza o potere, ma ugualmente hanno valorizzato al meglio la propria esistenza, colmandola di bene per sé e per gli altri. L'episodio della tempesta placata trova riscontro poi anche nell'attualità: Gesù padrone della natura richiama l'enciclica dell'alro ieri sulla salvaguardia del creato. "La terra è di Dio" dice la Bibbia, e dunque va rispettata come ogni altra cosa di Dio. Il papa Francesco l'ha ricordato sin dal suo primo discorso, quello d'inizio del pontificato, dicendo tra l'altro: "Custodire l'intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d'Assisi, è l'avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l'ambiente in cui viviamo». Ecco la via per salvare il mondo da chi lo sfrutta a proprio esclusivo vantaggio, da chi dimentica (?) che la proprietà, anche se legittima, è data da Dio all'uomo per il bene comune. |