Omelia (14-06-2015) |
don Maurizio Prandi |
Il Regno è un incontro La liturgia della Parola di questa XI^ domenica è un invito a confidare in Dio e a conoscere quale sia il suo "stile", il suo modo di vedere le cose, come nascono le sue scelte... parte dalle piccole cose Dio... La prima lettura è tratta dal libro del profeta Ezechiele, sacerdote del tempio, esiliato in Babilonia. Parte proprio da questa sua esperienza di uomo che è stato sradicato dalle sue origini per raccontarci quello che lui ha avvertito essere lo stile di Dio: ci dice che Dio a differenza del re Nabucodonosor, agisce per la vita... il re di Babilonia ha preso un popolo e lo ha deportato, lo ha "trapiantato" potremmo dire, ma con un unico obiettivo: schiacciarlo ancora di più... Dio invece cerca un ramoscello per trapiantarlo perché possa dare vita... (e' fedele in questa intuizione, al significato del suo nome è Ezechiele significa: Dio possa rendere forte...) trapiantarlo non in una terra d'esilio ma nella stessa Gerusalemme; cerca un ramoscello Dio, fosse anche dell'albero più forte, robusto, imponente... ma non tutto l'albero, ripeto: cerca un ramoscello e lo cerca sulle punte dei rami di un cedro... ovvero lo cerca là dove un albero è più fragile, debole, tenero. Il traduttore italiano poi, traducendo con "lo pianterò" non ci aiuta a comprendere la profondità della profezia di Ezechiele: leggevo in un commentario che bisognerebbe tradurre "lo appenderò sopra un monte alto"... ecco che possiamo cogliere in questo testo un riferimento importante a Gesù, al dono "obbediente" della sua vita, al fatto che una vita solo quando è donata porta frutto, attrae, custodisce, permette ai fratelli e alle sorelle di sostare rinfrancandosi. E' bello che il profeta Ezechiele pronunci queste parole a Babilonia, nel momento più difficile dell'esilio, quando sono pochissimi quelli che, pur rimanendo in patria, sono rimasti fedeli alla Legge di Mosè... Dio non si dà per vinto, non si arrende... per Ezechiele nulla è perduto perché Dio resta fedele alla sua alleanza e vuole offrire all'uomo un futuro differente e nuovo. Per questo possiamo pensare, credere che quella che ci propone il profeta Ezechiele è una immagine di grande speranza, e di grande pazienza nella prova, perché anche nella condizione più umiliata, tutto, come nella vita di Gesù, può diventare opportunità per trasformare l'avversità in una occasione di fiducia in Dio. Può essere, questa della prima lettura, una bella immagine della messa che celebriamo: dopo una settimana vissuta ognuno nella fedeltà al suo quotidiano, fatto di gioie, fatiche, preoccupazioni, ansie, abbandoni, ci ritroviamo all'ombra dell'albero grande che Dio ha trapiantato... troviamo rifugio in Gesù, sotto quell'albero della Croce che da sollievo, ristoro, riparo, pace, salvezza per sempre. L'atteggiamento del popolo d'Israele è di grande umiltà perché non si ribella. Il ribelle non si allea con Dio, ma sempre con un potente di questo mondo. Il popolo deportato rimane nella prova, senza disperare, confidando in Dio. Anche il vangelo ci dice qualcosa di molto bello: se Marco nel suo vangelo avverte circa le difficoltà che il seme ha nei confronti della terra (la strada, i sassi, i rovi, un terreno che rende non sempre il 100%...) oggi ci viene detto chiaramente che il seme, ovvero la parola di Dio e il terreno, ovvero gli uomini, sono fatti l'uno per l'altra. Ci viene detto oggi che il Regno di Dio assomiglia ad un incontro... è l'incontro tra il seme e la terra, e questo incontro non è casuale, perché è voluto da un contadino... c'è questo desiderio da parte di Dio: che il Regno avvenga, che nasca, che cresca, che possa dare frutto, proprio come ci dice la prima delle due parabole che abbiamo ascoltato... c'è la bellezza di questa terra che siamo noi mi immagino io... che è ogni donna e uomo disponibile ad aprirsi al mistero, terra che è capace di ricevere e alla quale è chiesto solo di ricevere e così si mette a produrre spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. "Se ci si incontra e ci si riceve, (scrivono le Famiglie della Visitazione), il dono di Dio è fecondo e quasi spontaneamente viene prodotto il frutto". E' così grande la potenza del seme gettato che anche noi siamo capaci di produrre perché la sua potenza buona trasforma anche noi. E' una potenza grande si, ma che contrasta con la piccolezza di questo seme che è davvero quasi invisibile. Si può considerare davvero insignificante un seme tanto è piccolo, ma questo acquista significato proprio quando viene seminato. Mi piace molto che l'evangelista specifichi bene le dimensioni: è il più piccolo di tutti i semi... il più piccolo... tanto piccolo che sarebbe impossibile non fare spazio, sarebbe impossibile non accoglierlo. Forse il vangelo mi vuole dire ancora una volta del grande rispetto che ha Dio della mia poca capacità di accoglienza, della mia fatica a fare spazio, della mia paura nel trovarmi di fronte a cose più grandi di me. È per questo che mi propone un mini-seme. Il mistero del regno di Dio è qui presentato come un incontro d'amore, provocato da un atto d'amore che è il gettare il seme... lo abbiamo ascoltato recentemente nella liturgia feriale, quando l'apostolo Paolo scrive che il dono più grande ricevuto da Dio è stato quello di permettergli di annunciare la sua Parola; ebbene questo gesto d'amore, questo seminare il seme che è la Parola di Dio possiamo farlo tutti, dobbiamo farlo tutti. Il vangelo di Giovanni ci ricorda che se il chicco caduto in terra non muore... questa semina, questo incontro d'amore quindi ha la sua espressione piena nella passione del Signore. Gettare il seme senza sapere come cresce (che non vuol dire "io semino e poi... chi s'è visto s'è visto...) vuol dire confidare nella potenza dell'amore al di là di ogni calcolo o visibilità. Questo non toglie niente al fatto che siamo fragili, deboli, peccatori... e che continuiamo a fare degli errori, a sbagliare, a peccare. L'importante credo che sia continuare a non giudicare, né chi sbaglia, né chi, con assoluta gratuità continua la sua opera di semina... Questo seme cresce di notte, che può voler dire quando siamo lontani, quando non c'è poi tutto questo desiderio di accogliere Dio e i fratelli... la prima lettura che abbiamo ascoltato è un esempio di come siamo chiamati ad avere fiducia in quel seme è che cresce di notte: nel momento della sconfitta, nel momento dell'esilio, nel momento della lontananza dalla propria terra e da Dio.... e che cresce anche di giorno, quando vediamo un po' più chiaramente, quando sappiamo affidarci alla forza di quel seme. L'amore nuziale di Dio per noi chiede un sì molto forte, poi porta alla meraviglia di vedere fiorire e fruttificare. Nel voler incontrare, nel voler seminare, nel lasciar fare (senza sapere come...), nel credere che non sia qualcosa di automatico la crescita... in tutto questo c'è una possibilità vicina di raccogliere frutto... e che questo frutto possa essere pace, custodia, riposo, incontrare una casa... come suggerisce proprio la parabola del granellino di senapa. Un'ultima cosa sulla quale riflettere per me... l'incontro di questo seme con la terra, mi richiama fortemente alla realtà, alla concretezza, alla vita di tutti giorni e il fatto che la traduzione letterale del versetto 30 del vangelo che oggi abbiamo ascoltato dica non con quale parabola possiamo descriverlo, ma in quale parabola possiamo mettere il Regno di Dio, è un invito forte a leggere il creato e la vita di tutti i giorni come una realtà da ascoltare sempre perché piena di parabole attraverso le quali si può cogliere il mistero del Regno di Dio. |