Omelia (21-06-2015) |
mons. Antonio Riboldi |
Perché siete così paurosi? Non so se avete fatto caso: ogni giorno i giornali ci propongono situazioni talmente gravi che fanno pensare ad un mondo che stia precipitando verso la fine. Gli intercalari che più si sentono? ‘Non ci sono più regole'... ‘non c'è più morale'... ‘tutto è corrotto'... Non solo: a volte noi stessi viviamo momenti o situazioni di tale sconquasso personale o familiare, o territoriale (pensiamo alla ‘terra dei fuochi'... ) che ci facciamo prendere dal panico, ma il panico rende irragionevoli, tanto che, a volte, si prendono poi decisioni che fanno precipitare situazioni facilmente (anche se penosamente) risolvibili. Ricordo il giorno del terremoto nel Belice. C'era stata una prima scossa che non aveva impressionato più di tanto. Essendo di domenica, per aiutare a vincere la paura, in parrocchia decidemmo di celebrare ugualmente la S. Messa vespertina. Venne poca gente. Prima dell'inizio della celebrazione si sentì un'altra scossa. Una ventina di persone presenti si precipitarono caoticamente verso la porta d'uscita, ingombrando la stessa, senza che nessuno potesse uscire e con il rischio di farsi male. La stessa paura la leggiamo oggi nel Vangelo, un brano di vita umana di sempre: "In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: ‘Passiamo all'altra riva'. E, congedata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: ‘Maestro, non ti importa che siamo perduti?'. Si destò, minacciò il vento e disse al mare: ‘Taci, calmati!'. Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: ‘Perché avete paura? Non avete ancora fede?'. E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: ‘Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?'. (Mc. 4, 35-41) Nessuno vuole condannare quel senso di insicurezza che assale tutti e sempre di fronte alle difficoltà della vita, che possono sorgere all'improvviso in chiunque e in ogni circostanza. È la confessione della nostra debolezza umana che taglia alle radici la pianta dell'orgoglio che tante volte coltiviamo come fossimo degli dei. Ma l'insicurezza può diventare davvero la beatitudine della ‘povertà in spirito', se sappiamo riporre nel Signore tutte le nostre speranze: è sentirsi tranquilli nelle Sue braccia, comunque vadano le cose, sapendo che il Padre ha cura di noi, conosce il nostro vero bene, non permetterà mai una croce che non possiamo portare. Non potrò mai dimenticare l'esperienza del Belice, subito dopo il terremoto. Mia cura, anzi mio solo scopo della vita, fu stare vicino a tutti, cercare di fare capire che si era perso un passato, ma c'era posto per il futuro, per la certezza del grande bene della vita salvata e la speranza. È questo il compito che oggi ci è affidato da Gesù: sempre lasciare la certezza, in quelli che avviciniamo, che il nostro ‘essere vicini' non è solo ‘un modo di dire', ma è vivere la parte del buon samaritano che sa fermarsi e almeno lasciare, in chi è in difficoltà e soffre, la sensazione che non è solo, ma c'è qualcuno che si impegna a condividere il suo sforzo per ritornare alla serenità. Quanti miracoli si possono compiere in questo senso, ma, per poter spendere la nostra serenità, occorre credere prima di tutto che siamo in compagnia di Gesù. Ripeteva spesso Giovanni Paolo II: "Non abbiate paura!" ed era il suo stile di vita ovunque si recasse. Sapeva che con lui camminava, parlava, sosteneva la fatica, Cristo, suo grande ‘Pane di vita'. E non fu colto dalla paura neppure dopo l'attentato. Quelli che sanno di essere in compagnia di Gesù non si fermano nelle difficoltà. Sanno che la natura umana è fragile in tutti i sensi, ma con noi, ‘sulla nostra barca' - la vita - che alterna momenti di calma a furiose tempeste, c'è sempre Dio, che a volte sembra per la nostra poca fede ‘indifferente' a tutto, ‘dormendo a poppa su un cuscino'... Non è così. Scriveva il monaco Silvano del Monte Athos: ‘L'anima che ha conosciuto il Signore non teme nulla, eccetto il peccato, e soprattutto il peccato di superbia. Sa che il Signore ci ama. E se ci ama, cosa possiamo temere?'. Forse la Parola di oggi ci invita ad un'altra ricerca: dobbiamo chiedere allo Spirito Santo di imparare a conoscere con il cuore il nostro Signore: è un Dio che si è fatto ‘seme' gettato a morire in terra per noi. Possiamo ancora dubitare del Suo Amore? Forse per questo Gesù ‘intima' ai discepoli, a noi, ‘di passare all'altra riva', perché proprio attraverso la fede nel compimento di una Parola, che può apparire assurda e irrealizzabile, impariamo a conoscerLo e a credere in Lui, con tutta la nostra mente, cuore e spirito. Solo così potremo, nonostante le ‘tempeste' della vita, vivere, nel profondo del cuore, l'esperienza del salmo 131: "Signore, il mio cuore non ha pretese, non è superbo il mio sguardo, non desidero cose grandi, superiori alle mie forze: io resto tranquillo e sereno. Come un bimbo in braccio a sua madre, è quieto il mio cuore dentro di me". Questa è la vera Pace, donata dal Signore, a chi si fida di Lui. È' Lui a proteggerci dal male. |