Omelia (28-06-2015)
Omelie.org - autori vari


COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di don Massimo Cautero

Toccare la vita e farsi toccare dalla vita!
Forse la nostra fede non è forte come crediamo o forse è altra cosa da quello che dovrebbe essere; forse non siamo abituati a dare "fiducia" o forse non ci piace essere messi di fronte le nostre responsabilità. Qualunque "forse" possiamo considerare circa la nostra fede nulla ci giustifica se dalla nostra fede abbiamo fatto scomparire il dato essenziale, fondamentale, dal quale la nostra fede nasce e ci rassicura: Gesù ha vinto la morte!
Certo, nei giorni in cui Marco ci narra la storia dell'emorroissa e la rianimazione della figlia di Giairo ancora Gesù doveva Risorgere, ma a noi che viviamo nel già della Resurrezione di Cristo non abbiamo scuse per dubitare, e la riflessione più bella che possiamo fare oggi è proprio su quella morte che Dio - come ci ricorda la prima lettura dal libro della Sapienza - non ha mai voluto né progettato, ma che è entrata nel suo progetto per l'invidia del diavolo ( dia-ballo, colui che separa, crea separazione!) e di cui fanno esperienza tutti quelli che alla morte vogliono appartenere. Il Vangelo di oggi sottolinea in maniera evidente questo rapporto tra l'emorragia della vita, di cui soffriamo e per cui andiamo verso la sterilità e la morte, ed i segni vitali di guarigione che Gesù opera per restituirci alla vita, per la vittoria sulla morte. Ovviamente questi miracoli, come tutti i miracoli di Gesù, fanno riferimento al compiersi della salvezza nella Resurrezione di Gesù stesso - che sarà anche la nostra! -, definitiva e totale vittoria sulla morte, vero ristabilimento del piano di Vita totale che Dio da sempre vuole per i suoi figli. Personalmente non faccio fatica a leggere e considerare tutti i miracoli di Gesù come segni concreti dell'amore di Dio per i suoi figli, segni che anticipano ed indicano la vittoria definitiva sulla morte con la Resurrezione. D'altronde a cosa servirebbe un miracolo di guarigione se poi non desiderassi anche risorgere per vincere la malattia più grande, cioè la morte? Ed a cosa sarebbe servito a Gesù fare tutti i miracoli che ha fatto se poi non ci avesse dato anche il miracolo più grande, la Resurrezione?
Partiamo dal dato numerico che oggi il Vangelo ci propone e che sembra accomunare le due figure femminili in esso raccontate: Il numero Dodici. Dodici anni sembra essere il tempo che scorre al confine della vita e della morte, un numero che indica un popolo e le sue tribù destinato ad entrare nella terra promessa per vivere al cospetto della Santità divina. Numero simbolico dell'unione tra Dio ed il suo popolo (il tre ed il quattro!), la Chiesa avrà, nei 12 scelti da Gesù, la sua spinta vitale, il suo parto. Dodici anni è l'età in cui una ragazza diventa donna in un processo misterioso ma vitale che, se da una parte chiede il sangue, un'emorragia di vita e contaminazione di Santità, dall'altra esprime la meravigliosa capacità di dare la vita, assieme ad uno dei più difficili e radicali passaggi che la vita di un essere umano deve vivere per entrare nell'età adulta. Dodici sono gli anni in cui i ragazzi (Bar Mitzvah) e le ragazze (Bat MItzvah) diventano uomini e donne assumendo gli obblighi del rispetto della legge (Halakhah) del popolo Ebraico, nella raggiunta capacità di discernere il bene dal male, legge che, se rispettata e seguita pedissequamente, promette di dare la vita. Dodici anni è quindi il tempo della vita che, purtroppo, dobbiamo riconoscere ci sfugge senza pietà (l'emorroissa!) e che quando sembra debba sbocciare per la sua pienezza per dare, a sua volta, la vita stessa, può essere assalita dalla morte (la figlia di Giairo!) e perdere ogni senso!
Insomma questo dodici sembra andare al centro delle nostre domande di senso, nel cuore di quel bisogno di vita eterna che rende importante ogni fatto della vita umana, perché sappiamo che senza questa speranza di vita tutto perderebbe il senso: che senso avrebbe guarire da una malattia, anche la più grave, se poi comunque c'è sempre la morte a sorprenderci dietro l'angolo od anche alla fine dei nostri lunghissimi giorni? Che senso avrebbe ritornare in vita dalla morte per morire poi una seconda e definitiva volta? Che senso avrebbe anche la generazione umana, dare la vita a qualcuno, se non potessimo sperare di poter dare a questi anche una vita eterna insieme con noi?
Anche oggi dobbiamo poter riflettere profondamente su quel Gesù che vogliamo toccare e dal quale vogliamo essere toccati, come nel vangelo, per avere o ti-avere la vita. Dobbiamo poter riflettere sul senso di quella fede, a cui Lui ci introduce, e che può illuminare d'eternità, oggi, tutta la nostra vita, tutte le nostre opere, tutte le nostre speranze!
In un mondo che ha barattato il "per sempre" col "tutto e subito e finché dura" può sembrare difficile tornare al "per sempre", al "ne vale la pena", all'amore crocifisso e Risorto che vince ogni cosa, compresa la morte! Questo, ritorno non può essere poi così difficile, perché l'Eterno ed il bisogno di eternità in noi mai si spegnerà, e tra le tante "droghe" possibili con cui ci anestetizziamo e ci asteniamo da questo bisogno, bisogna riconoscere la crude, bella, luminosa e verissima realtà: Dio Padre ci ama e vuole per noi la vita, vita eterna, e per questo duemila anni fa o giù di lì, ha mandato il suo Figlio nella storia, nella nostra stessa carne, perché vedessimo la Sua Salvezza, trovassimo pace nei nostri cuori inquieti assetati d'eternità, la finissimo di perdere tempo con la morte e la sua paura.
Se ancora oggi la nostra fede riesce a toccare e farsi toccare da colui che ha il "potere" sull'universo intero, comanda alle acque ed ai venti, al sangue ed alla morte di "tacere" e "smetterla" per conto nostro, siamo le persone più fortunate che ci siano perché non siamo più solo e semplicemente persone ma "figli di Dio", figli ricchi della cosa più preziosa che ci sia: La Vita e Vita eterna perché è lo stesso Autore della vita che ci da la Sua.
Non posso che terminare proponendo delle riflessioni che, di questi tempi, sono d'obbligo: Quanto sarebbe più facile vivere se la coscienza della nostra vita eterna fosse il tesoro più grande nelle nostre tasche? Quanto coraggio potremmo osare per metterci in gioco nell'amare più concretamente il prossimo, sapendo che questi, chiunque esso sia, non potrà mai rubarmi la cosa più importante che ho? Il nostro Battesimo, la nostra inscindibile unione con la morte e resurrezione di Cristo, è la fonte ed il principio del nostro agire umano e di ogni speranza divina? Gesù, il Risorto, colui che da la Vita, quella vera, è per me l'ultima, definitiva e più importante parola che Dio poteva dirmi?
Scusate, ma se non riesco a rispondere a queste domande nella maniera giusta mi rendo conto che potrei fare una brutta fine: potrei credere che quello che ho in questa vita è il massimo che mi spetta, e vivere nella continua paura di essere derubato o di perdere quello che ho. Potrei scambiare la mia Fede con un senso di religiosità che corre dietro e si nutre solo di visioni e miracoli, riducendo la Passione, Morte e Resurrezione di Gesù solo ad una possibilità tra le altre senza avere mai una fede che mi consola e mi da forza.
Si, potrei fare proprio una brutta fine se non credessi che Gesù è la Vita!