Omelia (28-06-2015)
Gaetano Salvati
Commento su Marco 5,21-43

Il vangelo di oggi narra di un Gesù profondamente coinvolto in due storie di donne, colpite dalla morte e dalla sofferenza.
Nel primo episodio, san Marco racconta che mentre il Maestro cammina in direzione della casa di Giairo (Mc 5,24), una donna "che da dodici anni era affetta da emorragia" (v.v.25-26) ha l'audacia di avvicinarsi al Signore, e di toccarLo. A questo punto l'evangelista fa una riflessione sconcertante: fra tutta la folla che segue Gesù, "che si stringe intorno" (v.31) a Lui, Egli si accorge che qualcuno lo ha toccato (v.30). Toccare significa compromettere, e il Signore, con la Sua incarnazione, con la Sua missione nel mondo, ha compromesso tutta l'umanità nel Suo amore, nella pienezza di vita. Questo implicare da parte del Signore richiede una nostra azione, una dinamica e attiva partecipazione al dialogo con lui: abbiamo bisogno, come la donna guarita dall'emorragia, di un contatto con quel Gesù che "da ricco che era, si è fatto povero" (2Cor 8,9) per noi; un contatto che salva, che rende liberi dalla morte e dalla consapevolezza che non esiste la speranza.
Il secondo episodio vede il Maestro entrare nella stanza dove dorme una ragazza (Mc 5,40), la figlia di Giairo. Ora non è il sofferente che chiede aiuto al Signore, sono altri che coinvolgono Dio; ed è grazie alla loro fede che la fanciulla non giace più nel letto, cammina, è ritta, è viva.
Le due storie hanno un argomento in comune che non riguarda esclusivamente la guarigione fisica, bensì la (rinnovata) certezza che non si è mai soli nel viaggio della vita. La richiesta incessante della donna e dei parenti della fanciulla di vedere Dio, di sentirLo vicino nella sofferenza, negli istanti bui dell'esistenza, riguarda ciascuno di noi. Come cristiani, qualsiasi sofferenza, ansia, non è divisa con noi stessi; ma condivisa, spezzata con Dio, redenta dalla Sua storia. In Lui infatti ogni pena, nostra o di altri, è trasformata in un nuovo sentiero di gioia e pace.
La questione adesso si focalizza su di un punto che molti ritengono alla radice della fede: Dio non è tangibile, non è concreto, non si può toccare, quindi non esiste. In effetti, non siamo noi a toccare Dio, Egli ci tocca continuamente, in maniera e attraverso storie diverse, perché noi possiamo ricalcare nella nostra vita la medesima generosità con cui Dio ci fa partecipi della Sua vita e acconsentire ad accettare di lasciarci toccare fino a lasciarci coinvolgere da ogni storia che il nostro cammino incrocia. Amen.