Omelia (28-06-2015) |
padre Antonio Rungi |
La fede che salva e la speranza che guarisce il cuore Nel testo integrale del Vangelo di questa domenica XIII del tempo ordinario dell'anno liturgico, san Marco ci riporta il racconto di due miracoli di Gesù. Due miracoli con significati diversi, ma con una precisa finalità da sottolineare. Si tratta di una donna e di una bambina: l'una guarita e l'altra riportata in vita. L'attenzione grandissima da parte di Gesù alla figura della donna è qui ulteriormente confermata con il duplice suo intervento taumaturgo. Una donna malata di emorragia continua da 16 anni che, nonostante le cure, non guarisce e che ottiene da Gesù l'attesa guarigione, toccando soltanto il lembo del suo mantello. Potremmo dire una donna dissanguata nel corpo, nel soldi e soprattutto nello spirito che riprende energia e vita al semplice contatto con il Signore. La sua grande fede la guarisce, perché confida nel Signore. E di fede da parte del capo della Sinagoga, Giaro, si parla nel miracolo del risurrezione della sua figlia, il quale, come vide Gesù, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Anche in questo caso Gesù ascolta il grido di un padre angosciato per la morte della sua figlia. Un Gesù attento alle istanze del cuore dei genitori. Molto bello e significativo che sia stato proprio il capo della sinagoga a chiedere l'intervento del Signore e che sia un uomo. Quante volte pensiamo che la fede sia solo un patrimonio al femminile, che la preghiera, il chiedere grazie, soprattutto per i figli, sia un esercizio spirituale ad esclusivo appannaggio delle donne e delle madri. Qui vediamo un uomo, in vista, diciamo anche che conta nella società di allora, che con umiltà chiede a Gesù di salvare dalla morte la figlia, che nel frattempo Giaro si rivolgeva al Signore, già aveva terminato i suoi giorni. L'intervento del Signore nella casa del capo della Sinagoga, riporta alla vita la bambina. E Gesù opera questo miracolo, anticipo della sua risurrezione, in un contesto di preghiera, silenzio, raccoglimento. Ci insegna che le grazie ed i miracoli si chiedono con uno stile di fiducia in Dio, in cui ci sia soprattutto la preghiera convinta e sicura che rivolgiamo a Lui. E Lui ci ascolta e ci esaudisce. E quando la risposta della grazia o del miracolo non arriva, significa che la volontà di Dio è un'altra. A noi spetta solo di saperla decifrare ed accettare. Ecco perché di fronte a questi due miracoli su cui oggi riflettiamo, c'è solo una parola da condividere e fare nostra: dobbiamo aver fiducia nell'aiuto di Dio. A Lui nulla è impossibile, anche quando a noi sempre tutto finito e destinato al fallimento e alla desolazione. Una donna che chiede, un padre che chiede e tutti e due ottengono quello che chiedono, grati al Signore per i doni che hanno ricevuto in quel momento e che li hanno sollevato dalla sofferenza di lunga o breve durata come si riconosce nella sofferenza dell'emorroissa o di Giaro che si trova di fronte al dramma più grande per una genitore quello di vedere la propria bambina morta. Ci sia di conforto quanto leggiamo oggi nel brano della prima lettura della liturgia della parola, tratto dal libro della Sapienza. In questo contesto di riflessione sulla parola di Dio di questa domenica, mi piace sottolineare quanto ha scritto Papa Francesco nella sua recente Enciclica "Laudato si": "Insistere nel dire che l'essere umano è immagine di Dio non dovrebbe farci dimenticare che ogni creatura ha una funzione e nessuna è superflua. Tutto l'universo materiale è un linguaggio dell'amore di Dio, del suo affetto smisurato per noi. Suolo, acqua, montagne, tutto è carezza di Dio. La storia della propria amicizia con Dio si sviluppa sempre in uno spazio geografico che diventa un segno molto personale, e ognuno di noi conserva nella memoria luoghi il cui ricordo gli fa tanto bene. Chi è cresciuto tra i monti, o chi da bambino sedeva accanto al ruscello per bere, o chi giocava in una piazza del suo quartiere, quando ritorna in quei luoghi si sente chiamato a recuperare la propria identità". Nei testi della parola di Dio c'è questa aspetto importante della vita delle persone che si rivolgono a Gesù: chiedono a lui di recuperare la loro identità e la loro dignità. E Gesù opera per entrambi concedendo la grazia ed il miracolo. Ben sapendo tutto questo, noi cristiani, che vogliamo seguire più da vicino il Signore, come faceva tanta gente che si spostava da un posto all'altro della Palestina, per ascoltarlo, per ricevere insegnamento e per chiedere grazie, dobbiamo immetterci sulla strada del santo convincimento interiore, descritto con estrema chiarezza di contenuti e di finalità da San Paolo Apostolo nel brano della sua seconda lettera scritta ai Corìnzi che oggi ascoltiamo come testo della seconda lettura della liturgia della parola di questa domenica. Il modello di ogni nostro modo di pensare ed agire è Gesù Cristo che da ricco che era si fece povero per arricchire noi. Noi siamo i veri ricchi, pur essendo molte volte in situazione di vera povertà materiale, in quanto la nostra ricchezza che dura per sempre è Gesù stesso, è la sua grazia e la sua presenza nella nostra vita. Dobbiamo solo fare nostro il monito di Gesù al capo della Sinagoga, davanti ala dramma della notizia che la sua figlia era morta: "Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». Avere fede anche nelle situazioni più gravi della vita, quanto ci costa, ma è l'unica e certa via di guarire dal vero male della sfiducia nei confronti di Dio e del mondo. Sia questa la nostra sincera preghiera al Signore: Cristo, sei la nostra speranza. Cristo, nostra speranza, aiutaci a camminare sulla via dell'avvenire umano e cristiano, senza ostacoli di natura sociale. Non permettere, Signore della vita, che nessun uomo su questa terra, sperimenti la morte nel cuore o gli venga negato il diritto a vivere o almeno a sopravvivere. Allontana da noi tutto ciò che è depressione spirituale ed interiore, che si manifesta con l'angoscia e il mal di vivere, fino al punto da uccidere o di rifiutare la vita. Nessuna sofferenza, prova e difficoltà possa limitare il cammino della speranza, in questa vita e in vista dell'eternità. Tu Signore, sei la nostra speranza certa, che non delude mai e sempre conforta ogni essere umano, che tu hai preso sulle tue spalle, come il buon Pastore, in cerca della pecorella smarrita, nei tanti labirinti della vita. Signore, aumenta in noi la speranza, nelle delusioni e illusioni dell'esistenza. La tua mano potente innalzi il livello della piena fiducia in Te e della stima di noi stessi, mai dimentichi che solo in Te, ogni essere umano trova rifugio e conforto in questo mondo e nell'eternità. Signore, non abbandonare l'opera delle tue mani, non abbandonarci nella tentazione, nella paura, nella malattia, nella morte del cuore e nelle delusioni della vita. Amen. (Preghiera di padre Antonio Rungi) |