Omelia (05-07-2015)
padre Gian Franco Scarpitta
Nulla è di ostacolo alla Parola

Ezechiele viene inviato non ad un popolo consenziente e disponibile all'ascolto, ma ad una generazione "di dura cervice", refrattaria e ostile nei confronti del messaggio divino. Anche se nel caso di Giona lo scritto riguarda un romanzo, il profeta - che per questo subisce una punizione essendo buttato in mare e restando tre giorni nelle interiora di un pesce - viene inviato a Ninive, città atea e miscredente per antonomasia, a predicare proprio il messaggio più difficile e impegnativo: la conversione al Signore. Mosè e Aronne vengono mandati a liberare il popolo oppresso dalla schiavitù del Faraone d'Egitto, ma le trattative diplomatiche sono difficili: il re si ostina a non lasciar partire gli Israeliti, nonostante numerose piaghe che sconvolgono il paese e per di più avviene che Dio stesso "rende duro e ostinato" il cuore del Faraone. Gli apostoli di Cristo dovranno affrontare tante contrarietà, esecrazioni, rifiuti quando annunceranno la Resurrezione di Cristo e la Novità del Regno. Paolo è per essi un esempio unico fra tutti quando, al monte Aeropago in Atene, tenta una soluzione ecumenica fra il "dio ignoto" dei pagani e il Signore Altissimo che si è rivelato in Cristo; quando poi si mette a discettare sull'argomento risurrezione dai morti viene marcatamente deriso e canzonato: "Su questo ti ascolteremo un'altra volta".
Dovunque si rechi ad adempiere il mandato missionario che Dio gli ha affidato, il profeta o evangelizzatore che sia non si trova a svolgere un ruolo facile, almeno stando alla maggior parte degli esempi riportati nella Bibbia, che descrivono peraltro le difficoltà attuali di ministero, sebbene sotto altre angolature. Più di una volta il confratello della Repubblica del Congo, con il quale condividiamo ministero e vita fraterna, mi ha manifestato la sua meraviglia e il suo "disagio" nel constatare i numerosi costumi e usanze devozionali ancora esistenti nel nostro territorio: troppe pie pratiche e processioni della Vergine e dei Santi. Nella sua realtà di provenienza si sono estinte da parecchi anni, qui costituiscono quasi la radice dell'intera evangelizzazione.
Il ministro di Dio è costretto innanzitutto a muoversi in un territorio differente da quello di provenienza, nel quale non può non adoperarsi per comprendere la cultura, i costumi e le abitudini. Il ministero sacerdotale, specialmente quando è svolto in luoghi lontani dalla propria dimora d'origine, comporta un lunghissimo e sacrificato periodo di inculturazione nella nuova dimensione che conduca ad acquisire un'adeguata conoscenza delle abitudini del posto e una familiarità almeno sufficiente con la gente e con i luoghi. Non di rado devono passare lunghi periodi di tempo prima che la gente accetti il nuovo sacerdote come persona. Ancora più tempo prima che accetti il messaggio di cui questi è portatore e non di rado esso non viene mai percepito quando l'attenzione cade sulla persona del ministro e non sulla Parola che sta annunciando. E' infatti vero e consolidato che il più delle volte il popolo si affascina più per le caratteristiche esteriori di un presbitero (socialità, apertura ecc) che per la serietà contenutistica del suo messaggio. E' proprio vero che, come qualcuno ha scritto, l'omelia domenicale del prete è il "tormento dei fedeli"? E' proprio vero che la gente si annoia quando il sacerdote parla dall'altare? A me risultano numerosi esempi di persone che sono ben disposte ad ascoltare lunghi discorsi quando a proferirli è la persona che esse preferiscono, trovando ogni pretesto per non prestare ascolto quando a predicare sia il sacerdote sconosciuto o ancora non entrato nelle nostre simpatie.

Ci si aspetterebbe che le cose vadano meglio quando si parla a casa propria, nella propria terra di provenienza, e invece come ci spiega la pagina del vangelo di oggi, le avversioni dei compatrioti sono ancora più pungenti che in luoghi sconosciuti: il profeta che reca il messaggio divino nel suo luogo di origine viene infatti ascoltato ancor meno che altrove e le sue parole vengono osteggiate più che nelle terre lontane. Quando nella formazione alla pastorale nei seminari e nelle facoltà teologiche si fa riferimento a questo passo, quasi mai lo si cita correttamente, poiché ci si esprime sempre con terminologie del tipo:? Nessun profeta è accetto nella sua patria? e simili, banalizzando così il senso reale del testo. Esso invece suona: "Un profeta NON E' DISPREZZATO CHE NELLA SUA PATRIA e in casa sua. Il che vuol dire che un messo trova disprezzo e riluttanza PROPRIO nella sua terra di origine, più che in altri posti.
La motivazione è evidente: il lavoro pastorale in altre terre, come prima affermavamo, comporterà sempre le sue pene e le sue sconfitte e non sarà esente da dolori e persecuzioni avversarie, tuttavia non resterà disperso e in un certo qual modo avrà sempre una certa incidenza: profetizzare invece fra la gente che ci conosce fin dall'infanzia, che ha seguito le tappe della nostra fanciullezza e adolescenza, che ha condiviso con noi tante cose anche intime e personali e che adesso è abituata a trattarci con familiarità, non potrà che ottenerci la conseguenza di essere osservati secondo l'aspetto della mera umanità e della posizione sociale. Proprio i nostri concittadini difficilmente prenderanno quindi in considerazione la parola del profeta che è in noi e anzi argomenti del tipo di quelli dell'evangelizzazione, come pure alla disciplina e alla normativa ecclesiastica ci verranno sempre ripudiati appunto perché proferiti PROPRIO dalla nostra bocca.
In ogni caso, seppure le difficoltà del messaggero di divini annunci sono rilevanti, ci è sempre di esortazione e di incoraggiamento lo sprone del Signore che ad Ezechiele rivolge questa garanzia: "Ascoltino o non ascoltino, sapranno che un profeta è in mezzo a loro". L'essere combattuti e ostruiti da avversari non deve generare in noi la tendenza alla resa e all'abbandono, ma incuterci maggiore coraggio e fiducia in Chi sta lavorando in noi e in Colui nel quale dipendono i risultati della nostra missione; per cui le avversità piuttosto che monito alla rinuncia devono diventare sprone alla perseveranza e alla fiducia, anche nella consapevolezza che proprio le avversità e le inimicizie sono la prova concreta che il nostro lavoro viene svolto davvero alacremente e al contrario, l'assenza di critiche e di insinuazioni, dovrebbe preoccuparci sulla possibilità che il nostro ministero sia condotto poco adeguatamente. Le contrarietà e le persecuzioni a cui si è soggetti sono infatti la garanzia che il nostro lavoro è efficiente perché il nostro annuncio sta dando fastidio ad altri e sta comportando sdegno e scontento nei nostri avversari e questo è già il fondamento della nostra vittoria.
La Parola di Dio in ogni caso non può restare incatenata.