Omelia (05-07-2015) |
Carla Sprinzeles |
Oggi il tema delle letture è "il profeta inascoltato". Guardiamo innanzitutto chi è il profeta. Pro-fetes, parola composta dal verbo "femi"= parlare e dalla preposizione "pro"= al posto di; quindi il profeta è il portavoce di Dio davanti a tutto il popolo. Il profeta è innanzitutto un chiamato, una persona che Jhwh ha coinvolto e in un incontro personale ha cambiato la sua vita. La profezia è la capacità di accogliere il futuro che avanza e discernervi il bene, il vero, il giusto. Nella società attuale, caratterizzata dalla tensione veloce verso il nuovo, il riferimento delle scelte quotidiane non può essere la legge, scrigno della tradizione o l'autorità che la tutela, ma la profezia, che consente di leggere il presente nella sua tensione al futuro. EZECHIELE 2, 2-5 La prima lettura è tratta dal profeta Ezechiele, sacerdote, inviato agli esuli di Babilonia per essere punto di riferimento e di conforto. Egli ha l'autorità e l'autorevolezza del ruolo, perché gli sono state conferite da Dio ("uno spirito entrò dentro di me"; "io ti mando"). I destinatari della profezia sono identificati con "razza", una parola dal sapore amaro, non c'è il termine che indica il popolo eletto, bensì le nazioni pagane. Il motivo è che gli esuli sono induriti nel male, ermeticamente chiusi alla luce, ciecamente orgogliosi, manifestano una sprezzante sicurezza in se stessi. Al loro comportamento negativo, si oppone la benevolenza divina: "Dice il Signore Dio". Compare per la prima volta nel libro di Ezechiele il nome proprio di Dio. Il risultato della missione non è per nulla garantito: "Ascoltino o non ascoltino - dal momento che sono una genia di ribelli -, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro". La parola profetica rimane come dimostrazione che il Dio di Israele si è manifestato ancora una volta nelle vicende del suo popolo e persegue il suo indefettibile disegno di salvezza. L'opera del profeta non rimarrà infruttuosa, anche se per alcuni anni sembrerà inutile. Oggi tocca a noi, nel nostro piccolo, essere profeti. Cosa vuol dire concretamente? Innanzitutto vuol dire avere la consapevolezza che non siamo noi il centro, che è dannoso riporre la sicurezza in noi stessi o nel potere, o nei soldi, il centro è l'amore di Dio, che ci è donato. Occorre formare comunità di uomini nuovi, in cui si pratica l'amore di Dio, la giustizia. Occorre smascherare le illusioni della società dei consumi e dell'esibizione. L'illusione di una giustizia che sarebbe assicurata dall'illimitata espansione di un sistema economico gestito secondo i criteri dell'interesse privato. L'inganno della salvezza piena realizzato dal benessere economico attuato sulle spalle degli altri. L'illusione della bellezza ostentata a tutti i costi, del piacere ricercato con tutti i mezzi, l'arroganza del potere e della ricchezza. La via dell'esteriorità e dell'apparenza non conduce alla maturità, ma nel vuoto. Nessuno può servire due padroni! Occorre scegliere, il compromesso è rovinoso! Vi è più gioia nel dare che nel ricevere! Questi sono i nostri principi, che insieme e con la forza dello Spirito di Dio, nella fedeltà e nella perseveranza ci faranno essere profeti e contagiosi di felicità e di gioia! MARCO 6, 1-6 I Vangeli, che abbiamo meditato, ci hanno mostrato Gesù, con un insegnamento diverso da quello degli scribi e dei farisei. Con Gesù è tutto nuovo: non leggi, ma l'amore del Padre, non precetti ma miracoli; non fedeltà a una legge a scapito dell'uomo, ma salvezza dell'uomo anche a scapito della legge. La gente attorno a lui si accalcava, ci stava volentieri, la folla lo seguiva! Dopo questo successo, Gesù torna a Nazareth. I suoi concittadini lo vedono tornare, vanno ad ascoltarlo nella sinagoga, il primo sabato e, cosa succede? Si scandalizzano di lui! Cosa sta dicendo il figlio di Maria, il figlio del carpentiere? Questo giovane partito dal paese qualche anno addietro, anche se aveva trascinato le folle con il suo nuovo insegnamento, ai nazareni non importava: loro sapevano tutto di lui. Non era possibile che Dio si manifestasse in un personaggio così poco appariscente, senza titoli, né niente che avesse accreditato dai maestri del paese. Dio non si manifesta in questa quotidianità e ferialità e per di più in una banale cittadina qualunque. Gesù provò tanta tristezza e non potè operare nessun miracolo! L'incapacità di cogliere il nuovo messaggio in questa crosta quotidiana e il rifiuto dei dottori della legge, che vedevano attentato il loro prestigio avevano impedito a Gesù di offrire vita ai suoi. Chi è l'altro per noi? Crediamo di conoscere i familiari, i colleghi, mentre il più delle volte non permettiamo all'altro di rivelarsi per quello che è. Allo stesso modo dei compaesani di Gesù, non concediamo alle persone con le quali siamo in rapporto, di oltrepassare i limiti nei quali le abbiamo rinchiuse. Come i bambini, non sopportiamo l'imprevisto e soprattutto non sopportiamo che l'altro sia migliore di noi. Non ci accorgiamo che i nostri confini si allargherebbero nella relazione con la novità che sgorga dall'altro. Ci fermiamo all'apparenza, come in un mondo a due dimensioni, senza profondità né spessore. Rimaniamo imbrigliati nelpassato, non permettiamo al presente di sorprenderci. Ci manca uno sguardo che sappia stupirci e ammirare! Molte incomprensioni nelle famiglie, tra sposi o con i figli, hanno la loro fonte in questa rigidità che non concede all'altro di rivelarsi differente da quello che uno si aspettava, che lo imprigiona in quello che era ieri. "Non sei più quella o quello che ho sposato" dice sconcertato il parter, mentre dovrebbe rallegrarsi del cambiamento avvenuto proprio grazie alla libertà offerta dal suo amore. Perché limitiamo così le risorse del prossimo? Probabilmente per la nostra insicurezza, per la nostra mancanza di fede nel bene, che fonda ogni esistenza. "Gesù non potè operare nessun prodigio a Nazareth e si meravigliava della sua incredulità". La delusione di non sentirsi riconosciuti nelle proprie possibilità, può anche sfociare nella depressione, persino nel suicidio. Per vivere, per crescere, abbiamo tutti bisogno di essere circondati dalla fiducia degli altri; allora si decuplicano, per ciascuno, le capacità del bene. Ogni cambiamento ci fa sentire in bilico, perché perdiamo il controllo della situazione e lo sentiamo come un pericolo. Eppure è così bello lasciarci sorprendere dalla vita, entrare nella danza dell'amore, che si rallegra della crescita dell'altro. Altrimenti rischiamo di restare soli, aspettando Dio che non abbiamo riconosciuto nella novità che sgorgava dal nostro prossimo. Secondo punto, molto importante è che pensiamo di conoscere Dio, il Signore, invece siamo come pesci nel mare, circondati, immersi dall'energia vitale, dall'amore, dal contatto con chi ci ama e ci dona la vita! Di solito il nostro Dio è un idolo che abbiamo costruito noi, a nostra immagine, con dimensioni più grandi, ma non diverso da noi. Con la nostra ottusità blocchiamo il braccio pronto a salvarci! Infine, incontriamo Dio nella semplicità, nella debolezza, nella povertà. Incontriamo Dio nel dar da mangiare all'affamato, qualunque sia il suo tipo di fame. Amici, apriamo gli occhi e vediamo la realtà, che è più bella e più grande di quanto noi riusciamo a vedere, sappiamo accogliere il nuovo ogni istante con la gioia del bambino che aspetta un amore, un'attenzione, che lo aiutano a vivere, non saremo delusi! Accogliere e donare sia il nostro motto e ci meraviglieremo dei prodigi che possono avvenire! |